SCUOLA SCIENTIFICA TESLIANA DI NATUROPATIA OLISTICA

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Diritti Umani: Zingari

 

Anno 2008_19 Giugno

Il 19 Giugno, dopo che, ai primi del mese, una sua autorevolissima delegazione, costituita dal Presidente, onorevole Alfredo Arpaia, dall’avvocato Oreste Bisazza Terracini, Vicepresidente aggiunto, e dalla Presidente della “struttura” regionale calabrese, professoressa Maricia Belfiore-Bagnato, ha portato all’attenzione dell’Assemblea Generale dell’Association Europeènne des Droits de l’Homme (A.E.D.H.) le “risultanze” di un’importante manifestazione sul fenomeno dell’immigrazione clandestina, organizzata dalla stessa Bagnato e svoltasi, il 22 Maggio, a Reggio Calabria, la LIDU, presso la propria sede nazionale, prendendo spunto dagli atti di reiterata discriminazione e razzismo di fatto, cui, da tempo ormai, sono sottoposte, pressoché in tutto il Paese, le comunità nomadi, tiene un importante convegno dal titolo “Diritti Umani: Zingari, nomadismo del XXI Secolo”, affidando le importanti relazioni di chiarimento del fenomeno e di condanna d’ogni tipo di violenza, rispettivamente intitolate “Pericolo Rom o Rom in pericolo?”, “Tradizione del nomadismo”, “ I Rom e la storia: la prospettiva antropologica” e “Ragioni culturali di una difficile convivenza”, agli eminenti docenti universitari Marco Brazzoduro, Ruggero Ferrara e Riccardo Scarpa.


Del convegno, che ha suscitato ampio interesse e coinvolto, positivamente, uno stuolo significativo di partecipanti, e che, introdotto dal presidente della LIDU e moderato dal professor Felice Israel, coordinatore della Commissione Cultura, ha visto prendere la parola anche eminenti uomini della cultura, riportiamo, di seguito e per intero, il resoconto della nostra stagista e collaboratrice Sara Lorenzelli, laureanda in “Scienze della Comunicazione” presso l’Università “La Sapienza” di Roma.
Ad aprire il convegno è stato il professor Ruggero Ferrara, il quale, in primo luogo, dopo aver effettuato un opportuno approfondimento sulle origini e le tradizioni dei popoli nomadi, ha indicato quelle che, fin dall’antichità, sono state riconosciute come le due distinzioni primarie del genere umano: i popoli sedentari ed i popoli nomadi o del “vagabondaggio” itinerante, “esaltato”, come modo di vita, dallo scrittore tedesco Hermann Hesse, Premio Nobel per la Letteratura, nel 1946, ed autore, tra l’altro, de “Il

Santo bevitore”, da cui pure è stato tratto, negli anni 80, un film di successo; ed i popoli sedentari, essenzialmente contadini, che si dedicavano all’agricoltura, mentre i nomadi allevavano il bestiame.

Distinzione riscontrabile anche nella Bibbia, ove Caino dedica a Dio i frutti della terra mentre Abele offre, in sacrificio, i suoi animali.
La relazione del professor Ferrara è, poi, proseguita con un excursus storico-religioso sulle origini del popolo ebraico, considerato la stirpe nomade per eccellenza.
Nella Torah ebraica, infatti, viene ribadito un deciso rifiuto a praticare certe arti e certi mestieri tipici dei popoli sedentari. Di fatto, poiché l’origine della metallurgia viene fatta risalire ad un discendente di Caino (sedentario), la tradizione ebraica imponeva che non si impiegasse il ferro nella costruzione dei luoghi sacri, che le pietre adoperate non fossero tagliate da metalli ed, infine, che perfino la circoncisione venisse praticata con un coltello di pietra.
Ferrara ha poi informato come, nei tempi arcaici, prima dell’introduzione del tornio, l’uso della terracotta fosse un’attività esclusivamente femminile; caratteristica, questa, distintiva delle società nomadi, dove l’uomo si dedicava al bestiame e la donna alla lavorazione della terracotta per creare utensili utili alla vita domestica.
Con l’invenzione del tornio, quello del vasaio divenne un mestiere maschile; secondo il pensiero tradizionale, però, i lavori femminili non potevano essere svolti dagli uomini, pena la sconsacrazione del lavoro stesso.

Così, in alcune civiltà sedentarie, l’attività del vasaio venne vista come un’opera dissacrante.

Per questo, i vasai finirono per essere segregati in zone marginali della città, mentre i luoghi da cui si scavava la terra per modellare i vasi e le altre suppellettili di terracotta venivano sconsacrati per sempre.
Dopo aver definito le opere dei sedentari come “opere del tempo”, ovvero costruzioni caratterizzate da continuità e stabilità, costruite in spazi circoscritti e destinate a durare, il professore ha continuato spiegando che le popolazioni nomadi, di converso, non prevedevano edificazioni stabili, bensì anelavano a spazi senza sostanziali confini che aprissero “universi” di possibilità di movimento e d’azione.
Il relatore, passando, poi, ad indicare le principali differenze tra il mondo nomade ed il mondo sedentario, ha affermato che, mentre il primo è caratterizzato da attività legate al mondo animale, che, non a caso, si presenta, “mobile”; il secondo è sostanzialmente dedito ad attività che si concentrano su due regni fissi, quali il regno vegetale e quello minerale, e che, mentre il popolo nomade rappresenta il proprio universo religioso e folkloristico con simboli sonori (ballo, musica e poesia, tramandate oralmente, sono infatti le forme di espressione proprie di questa cultura), i sedentari, al contrario, prediligono, simboli ben visibili e stabili (architettura, scultura e pittura).
Altro elemento distintivo delle popolazioni nomadi è individuabile nel matriarcato.
Gli Zingari o Sinti, infatti, non eleggono un re, bensì una regina di nome Sara (dall’ebraico “principessa”), che è anche la loro patrona (ogni anno, la celebrano in Provenza, alla Camargue, presso l’estuario del Rodano), così come la loro devozione per la Madre Terra si rivela nel culto della “Madonna Nera”, quale figura identificativa dell’humus del terreno.
Infine, passando alla descrizione delle due diverse tipologie di Zingari, ovvero gli Zingari orientali, quali Zingari propriamente detti, e gli Zingari meridionali, o Gitani, ha concluso affermando che gli Zingari orientali sono prevalentemente candelari e domatori, facili da “individuare” nell’arte circense, mentre i Gitani, che si trovano soprattutto in Provenza, in quanto pressoché esclusivamente mercanti di cavalli, denunciano numerose affinità con i Pellerossa americani.
In base a quanto sopra, il professor Ferrara ha chiuso la relazione affermando che: “Trovandoci di fronte ad una civiltà antichissima, d’origine indoeuropea, e con grandi e secolari tradizioni alle spalle, un’eventuale scomparsa di queste popolazioni costituirebbe una grave perdita etnico-culturale”.
Il professor Riccardo Scarpa ha posto, invece, al centro delle sue “argomentazioni” i seguenti quesiti: “Perché, attualmente, esiste una così grave difficoltà d’integrazione del ceppo Rom in Italia?” E, soprattutto: “Come si è arrivati all’associazione terminologica fondata sul pregiudizio, tristemente infondato, del “Rom uguale delinquente”?”
Per dare una risposta al fenomeno, Scarpa, partendo da una descrizione etimologica del termine Zingaro, dal greco athinganoi, ovvero “inafferrabile”, ha detto che, già da questa prima considerazione, è possibile riscontrare la natura errabonda e sfuggente della popolazione nomade; natura che, proprio a causa di questa sua fondamentale differenza con la cultura occidentale, testimonia la prima grande ragione di diffidenza e timore che la gente e gli Italiani in particolare manifestano nei confronti dei Rom.
A partire dagli anni settanta, si è assistito ad una massiccia ed imprevista tendenza della popolazione Rom a stabilirsi, in modo stanziale, nel nostro Paese che, sostanzialmente impreparato per un’adeguata accoglienza, premessa per ogni pacifica integrazione, si è trovato al centro di periodiche tensioni, fomentatrici delle attuali ostilità.
Gli atteggiamenti repressivi e discriminatori verso i Rom hanno, quindi, fatto sì che, nel 2007, il Consiglio d’Europa stilasse un rapporto sul modo in cui la politica italiana ha affrontato il delicato problema.
Il giudizio internazionale che è stato dato sulle linee d’azione adottate dalle autorità italiane è stato talmente negativo che il nostro Paese è stato accusato di praticare una politica sostanzialmente razzista.
Dal Consiglio d’Europa sono stati contestati, innanzitutto, i metodi “violenti e coercitivi” adottati dalla Polizia, con chiaro riferimento alla “brutalità” con cui avvengono gli “sgomberi” dei campi nomadi ed alle vergognose appropriazioni dei loro miseri beni.
I Rom vivrebbero, quindi, queste misure repressive come vere e proprie “dichiarazioni di ostilità” od “atti di guerra”, che li porterebbero a non riconoscere la legittimità dello Stato.
Il professore, infine, dopo aver affermato che questa situazione di conflittualità deve necessariamente e tempestivamente essere affrontata e risolta, a meno che non si voglia arrivare ad ulteriori ed irrimediabili peggioramenti dei rapporti, ha concluso indicando, quale unica soluzione possibile, un nuovo “Schema Romanistico dell’Hospitalitas”, ovvero il procedimento adottato nel Millequattrocento da Sigismondo, imperatore del Sacro Romano Impero, nonché re di Boemia e Bulgaria, che arrivò a consentire alle popolazioni nomadi la libera circolazione all’interno dell’Impero, delegando alle stesse l’amministrazione della giustizia in merito a fatti ed eventi che le riguardavano direttamente, ovvero le coinvolgevano.
Nella fattispecie, si tratterebbe di un modello di riferimento cui attingere, in quanto sarebbe, senz’altro, il primo precedente, storicamente riscontrabile, teso ad armonizzare i rapporti tra nomadi e sedentari.
Ha chiuso il convegno il professor Marco Brazzoduro, in veste, non solo di docente universitario di “Politica sociale” alla Sapienza di Roma, ma anche quale massimo esperto delle “problematiche” Rom per un impegno di studio ventennale.
Il professore ha descritto il mondo nomade come un “mondo di mondi”, estremamente variegato, legato ad una lingua comune, il Romanes, condivisa da tutte le popolazioni di questa specie.
Secondo Brazzoduro l’”insicurezza metropolitana”, che prescinde, per quanto attiene alle sue “scaturigini” dal fenomeno dei Rom, sfocia costantemente nel bisogno, per così dire, storico, di trovare, sempre e comunque, un “capro espiatorio”.
Attualmente, sembra, infatti che in Italia il capro espiatorio sia stato individuato nei Rom.
Ragion per cui, sono ingiustificatamente sorti numerosi, quanto ridicoli, pregiudizi nei loro confronti.
Ad esempio, il “luogo comune” secondo cui “gli zingari rubano i bambini” non ha alcun riscontro concreto negli archivi giudiziari del Paese. Non solo, la convinzione che esista presso questa popolazione una vera e propria “cultura del furto” è assolutamente infondata, in quanto non vi è, statisticamente, alcuna differenza tra l’illegalità Rom e l’illegalità propria del sotto-proletariato italiano: in entrambi i casi, infatti, il movente è, per lo più, il medesimo, vale a dire la necessità di far fronte alla povertà.
Altro punto che caratterizza la sostanziale ostilità dei Rom verso il nostro Stato, secondo il professore, deriva dal modo con cui vengono coattivamente affrontati gli sgomberi dei campi nomadi.
La giustizia italiana imporrebbe che questi non avvenissero di notte, in Inverno e, soprattutto, solo quando sia previsto il trasferimento in un campo sostitutivo.
Nella realtà dei fatti, invece, troppe volte queste disposizioni operative vengono del tutto ignorate.
E questo, al punto che lo sgombero assume aspetti assai repressivi.
Inoltre, altro indicatore del rifiuto sostanziale che la società italiana riserva ai Rom, è costituito dal fatto che i campi sono sempre isolati nelle zone più squallide e sporche delle aree metropolitane.
Il professore ha, infatti, sottolineato che l’integrazione di una popolazione nomade non può avvenire con la repressione, ma solo attraverso strumenti d’incentivazione (in primo luogo, la scolarizzazione), che ne favoriscano la stabilità. Ad esempio, la Slovenia, che, avendo una popolazione di poco superiore ai 2.000.000 di “anime”, avrebbe potuto fortemente risentire, in senso negativo, della presenza, sul suo territorio, di una numerosa comunità di Sinti nullafacenti, ha provveduto a stabilizzarla positivamente attraverso l’assegnazione di alloggi popolari e la sollecitazione ad occuparsi della coltivazione e della vendita dei fiori.
Tra l’altro, il professore Brazzoduro ha fatto notare che il nomadismo attuale è un fenomeno che, in Italia, coinvolge solo il 5% di Rom o Sinti e che, secondo le stime attuali, i Rom, al cospetto di ben altri livelli di presenza in Francia, Spagna e Germania, sarebbero appena 160-170.000, la metà dei quali in possesso di cittadinanza italiana.
Ha, infine, concluso denunciando il “fenomeno degli invisibili”.
Ovvero la sorte di quei bambini, moltissimi, nati da genitori che, trovandosi nel nostro Paese senza cittadinanza italiana, né permesso di soggiorno, sono, contestualmente, impossibilitati a registrarli sia all’anagrafe italiana che a quella del paese d’origine.
Da questo consegue che vengano, di fatto, a trovarsi nell’allucinante condizione ufficiale di non “esistere” dal punto di vista civile, e, per questa ragione, a non godere di alcun diritto.

Tratto dal documento della Lega Italiana
dei Diritti dell’Uomo Onlus:
Testimonianza
“Report 2008-2009”
Iniziative, documenti, prese di posizioni, deliberati,
lettere, ecc. in materia di diritti, nel biennio
curato da Gian Piero Calchetti e Sara Lorenzelli
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