SCUOLA SCIENTIFICA TESLIANA DI NATUROPATIA OLISTICA

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La respirazione secondo il Pranayama

Il Prana non significa solo respirazione, ma il potere energetico e universale del cosmo. Colui che arriva a padroneggiare il Prana in se stesso, naturalmente possiede un grande controllo sull'attività dei suoi processi psichici. Questo è, in effetti, il significato analogico e simbolico delle tecniche di respirazione, applicato secondo i principi delle neuroscienze: il portare attenzione e consapevolezza su di sé, sulla propria interiorità, sulle proprie emozioni e sui propri pensieri aiuta a migliorare la qualità della vita psichica.

Questo principio era noto a tutte le discipline indù, le quali hanno sempre insistito sulla necessità di controllare l'attività mentale, anche se gli strumenti che hanno utilizzato, condizionati dal tipo di cultura e di ambiente nel quale si sono sviluppate, si riducevano sostanzialmente all'esecuzione di specifici rituali anziché alla ricerca del funzionamento effettivo dell’attività psichica. In particolare, lo yoga insiste su una tecnica fondamentalmente di rilassamento quale la meditazione attribuendo ad essa qualità che non possiede, ossia specificamente quella di poter connettere la mente del singolo individuo con l'energia universale.

La disciplina del respiro, il pranayama, viene realizzata attraverso esercizi respiratori. La comunicazione con la dimensione cosmica si realizza con il sistema aperto delle due nadi fondamentali, Ida e Pingala: Ida, polarizzata negativamente, si apre nella narice sinistra; Pingala, polarizzata positivamente, si apre sulla narice destra. I diversi chakra concorrono alla distribuzione del prana. Questa risulta perfetta (ricordiamo che il perfezionismo - insieme con il tratto ossessivocompulsivo di personalità - è una delle caratteristiche fondamentali delle discipline religiose orientali) se le Nadi non contengono impurità (come si è già accennato, il tratto ossessivo-compulsivo di personalità si esprime specialmente nell’accanimento ininterrotto, per ogni aspetto della vita, nel combattere l'impurità attraverso rituali e tecniche più o meno invasive di purificazione.

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Questo tratto ossessivo-compulsivo è lo stesso che caratterizza anche le scienze mediche occidentali - con il vantaggio che esse utilizzano una analisi della realtà e strumenti di cura più affidabili - le quali sono votate, come una vera e propria forma di missione laica, a combattere il male in ogni sua forma si manifesti, e restano disinteressate alla promozione della salute del benessere).

Nel pranayama la prima cura dello yogi è quindi quella di fare delle respirazioni alternate, che hanno come scopo la purificazione delle nadi e la ricerca dell'equilibrio delle correnti positive (Ha) e negative (Tha). Sul piano fisiologico gli esercizi respiratori del pranayama erano ritenuti sufficienti per condurre l'intero organismo verso il tanto agognato “equilibrio”. Secondo Vivekamanda, “ La respirazione ritmata comunica a tutte le molecole del corpo una tendenza a muoversi nello stesso senso; con la pratica il corpo diventa un gigantesco accumulatore di volontà”.

Naturalmente, insistiamo ancora una volta nel far osservare come tutte queste affermazioni, risalenti a una saggezza necessariamente limitata dalle conoscenze di un popolo che viveva alcune migliaia di anni fa, debbono essere intese in senso analogico e simbolico: nessuno può davvero pensare che le molecole di un qualsiasi organismo possano davvero muoversi tutte nella stessa direzione.

L'affermazione va quindi intesa secondo un significato non letterale, il quale rimanda alla opportunità che tutto il sistema psicofisico dell'individuo sia in salute,  oggetto di attenzioni e di consapevolezza e rivolto alla realizzazione di un programma di vita coerente di ricerca di obiettivi positivi, secondo una strategia che sarà tanto più efficace quanto più tutte le risorse (le "molecole" di cui sopra) siano armonizzate e finalizzate nella stessa direzione.

Tecnicamente, la respirazione viene insegnata nel pranayama come un processo unico, ma distinto in tre fasi: inspirazione, ritenzione, espirazione. Di norma ogni esercizio respiratorio viene ripetuto 10 volte, senza superare questo limite (simbolico, non letterale!) perché si possono presentare fenomeni di vertigini dovuti ad iperventilazione.

Spesso all'esercizio respiratorio si accompagna una meditazione nella fase di ritenzione. La più immediata ha per oggetto il passaggio dell'aria nei condotti nasali: la persona viene invitata ad immaginare che con l'aria introduce forza ed energia, distribuita nel proprio corpo nella fase di ritenzione, e che con l'espirazione espelle debolezza.

Tratto dal libro: Manuale di pranoterapia di Davide Lamberti, Guido A. Morina

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