Matrimonio sine manu
Con il passare del tempo il matrimonio cum manu cominciò a vacillare a causa degli inconvenienti che venivano a crearsi soprattutto dal punto di vista patrimoniale: venne considerato eccessivo l’effetto della manus in conseguenza della quale tutto il patrimonio della donna sui iuris passava in toto al marito. A seguito di queste nuove convinzioni la conferratio scomparì per desuetudine, così come la coemptio e si diffuse l’usurpatio trinoctii, ossia l’ usus: il marito non acquistava alcuna potestas sulla moglie, che se alieni iuris rimaneva sotto la potestas paterna e conservava tutti i diritti derivanti dalla sua famiglia di origine, se sui iuris conservava la sua autonomia personale e patrimoniale. In entrambi i casi concorreva agli oneri economici della convivenza, mediante la dote.
E’ già dagli ultimi anni della Repubblica che il matrimonio sine manu diviene la forma prevalente, considerato pertanto come il matrimonio tipico del diritto romano: nato come situazione di mero fatto sin dall’epoca più antica è stato considerato quale fonte immediata di diritti e obblighi, perfezionando un rapporto giuridico differente dalla conferratio, dalla coemptio e dal matrimonio moderno (negozi giuridici che si formalizzano una sola volta per produrre successivamente i loro effetti), in quanto dà luogo ad una relazione continuativa , che da un lato ha effetti permanenti (es. la legittimità dei figli) e dall’altro produce i suoi effetti solo per il tempo della sua durata, che ciascuna parte può far cessare in qualsiasi momento. *
Presupposti del matrimonio.
Perché il matrimonio possa esistere sono necessari alcuni presupposti inderogabili:
1. status libertatis;
2. ius connubii o connubium, ossia la capacità giuridica di contrarre matrimonio, ad eccezione dei rapporti relativi ad alcune categorie di persone pur esistendo in questi la capacità giuridica assoluta.**
3. idoneità fisica, intendendosi il raggiungimento della pubertas,
4. inesistenza di altro matrimonio, in quanto il matrimonio romano è monogamico;
5. inesistenza di determinate relazioni di parentela naturale o adottiva: ci si riferisce in primis alla parentela diretta all’infinito ( ascendenti e discendenti); la parentela collaterale fino al sesto grado.***
6. compimento del termine di un anno per la donna che passi a nozze successive , al fine di evitare eventuali incertezze sulla paternità;
7. consenso in primis dal pater familias, mentre per il filius familias occorre il consenso anche da parte degli altri ascendenti intermedi (ad es. il padre) , in quanto i nascituri da quelle nozze potrebbero divenirne eredi. Mentre per la filia basta solamente il consenso del pater familias, in quanto i suoi discendenti apparterranno alla familia del marito.
- Salvatore Terranova - Noto
*Cfr Arangio Ruiz V., “Istuzioni ecc…”, op. cit., p. 435 e ss.
**Sanfilippo C., “Istituzioni di diritto romano”, op. cit. p. 146: i patrizi non potevano sposare i plebei prima della lex Canuleia (a. 445 a.C.); gli appartenenti al rango senatorio non potevano sposare una liberta o una mulier famosa (di facili costumi) a seguito della lex Julia de maritandis; il magistrato provinciale non poteva sposare una donna della provincia; un militare una donna della guarnigione; il tutore la sua pupilla; nel diritto dell’età cristiana il cattolico non poteva sposare un’ ebrea.
*** Cfr Sanfilippo C., “Ist ituzioni, ecc…”,op. cit p. 144 e ss.: successivamente fino al quarto grado e, da Claudio in avanti, avendo questi sposato la nipote Agrippina, fino al terzo.