SCUOLA SCIENTIFICA TESLIANA DI NATUROPATIA OLISTICA

Le terapie antibiotiche oggi

La produzione della penicillina in poco tempo sale vertiginosamente da 400 milioni di unità nei primi sei mesi del 1943, a 20 miliardi nei sei mesi successivi, a 1700 miliardi nel 1944 e a 7000 miliardi di unità nel 1945- Tutto il prodotto verrà però riservato fino alla fine della seconda guerra mondiale, agli eserciti alleati in guerra. Il problema della sintesi della penicillina impegnò più di mille ricercatori di 39 Università e industrie inglesi ed americane. Le prime penicilline semisintetiche vennero realizzate nei laboratori della Merk e in quelli di Oxford.

Sino al termine della seconda guerra mondiale l'impiego della penicillina (considerata "top secret", anche se non mancarono i tentativi di spionaggio industriale come riportato con molta efficacia nel film "Il terzo uomo") era riservata agli eserciti alleati: verrà poi esteso alle popolazioni civili e infine a tutti i paesi del mondo. Nel 1945 Fleming riceve il Premio Nobel che vuole fosse diviso con Florey e Chain. Mentre fra i laboratori di Peoria (Illinois) e Oxford progrediscono gli studi e le ricerche per purificare e produrre quantità adeguate di penicillina, S. A. Waksman, un ucraino immigrato, sbarcato a Philadelfìa negli Stati Uniti nel 1910, laureatosi in agraria a New Brunswick nel 1916 e in biochimica a Berkeley nel 1918, era divenuto un esperto microbiologo del suolo. Aveva così scoperto nel 1939 due nuovi antibiotici, la gramicidina dal bacillus brevis, isolato dal terreno prelevato da un campo di mirtilli del New Jersey, e la actinomicina A dall' Actinomicetes griseus, entrambi peraltro molto tossici, e nel 1942 isolò la streptotricina. Poiché erano filtrate le notizie sull'efficacia della penicillina contro i Gram positivi, Waksman era alla ricerca di un composto efficace sui Gram negativi, e soprattutto sul bacillo della tubercolosi (di Koch), che nel secolo scorso era responsabile del 4 per mille di tutte le morti. Nel settembre 1943 riuscì ad isolare dall'Actinomices griseus un preparato, molto meno tossico dei precedenti da lui scoperti, efficace su gram positivi e gram negativi e sul bacillo di Koch denominato streptomicina.

Questa risulterà poi il capostipite degli  amminoglicosidi in quanto costituiti da due amminozuccheri uniti da un legame glicosidico alla molecola aminociclitolica. Il riscontro dell'efficacia del preparato sul bacillo di Koch spetta però a Feldman e Hinshaw, come fu riconosciuto dallo stesso Waksman nel 1947 in un articolo nel quale si soffermava in particolare sull'efficacia del farmaco nella meningite tubercolare. Per primo segnalava però che dava luogo a fenomeni tossici quali la sordità totale e allo sviluppo di germi resistenti in vitro. Il farmaco attrasse l'attenzione di molti studiosi per cui, fin dal 1946, molti chimici si impegnarono a stabilire le dosi, la durata, gli effetti collaterali e l'efficacia sulle forme meningitiche, miliariche e croniche. A conferma di ciò l'internista W Loeffler di Zurigo ricorda che nell'estate del 1947 un signore piccolo e gentile entrò in clinica e disse "My name is Waksmas".

Seguì immediatamente questo dialogo "streptomycin?" "Yes, that is me", "Arriva proprio al momento giusto. Presentiamogli il nostro primo caso di meningite tubercolare guarito con la streptomicina". Mentre il mito della efficacia della penicillina e dei sulfamidici si stava sfaldando, nel 1948 otto industrie farmaceutiche si impegnarono, affrontando notevoli costi, a produrre tale farmaco. Gli eventi scientifici sulla ricerca antibiotica avevano assunto un impulso notevolissimo per cui, riferendoci alla tubercolosi visto il comparire di ceppi resistenti gli studi si indirizzarono verso due composti prodotti dall'industria chimico-farmaceutica: l'acido paraminosalicidico (PAS) e l'isomiazide. In tale rapida evoluzione si inserisce un ricercatore italiano G.Brotzu, Direttore della Cattedra di Igiene della Facoltà di Medicina di Cagliari, che nel 1943, essendo a conoscenza delle scoperte e ricerche di Fleming e di Florey e Chain isolò, dagli scarichi fognari che si gettavano nel vecchio porto di Cagliari, un micete il Cephalosporium acremonium, oggi chiamato Acremonium Brotzu.

Il lato positivo e negativo dei farmaci

I filtrati ricavati si dimostrarono dotati di attività antibiotica sia in vitro, nei riguardi di patogeni quali tifo,  colera, peste, brucelle, stafilococco aureo, sia nelle cavie, quando veniva somministrato l'estratto di "succo di muffa" per via intramuscolare, sia in alcuni pazienti affetti da ileotifo e da infezioni da stafilococchi se somministrato per os. In seguito a quanto sopra cercò di coinvolgere, per purificare e produrre su vasta scala la sostanza attiva, il Ministero della Sanità, le autorità militari e l'industria farmaceutica, scontrandosi con l'ignoranza di chi non conosceva i progressi scientifici in tal campo, la diffidenza, l'incomprensione e le pastoie burocratiche. Pensò pertanto di pubblicare, a proprie spese, nel 1948 un fascicolo con il titolo "Ricerche su di un nuovo antibiotico" dove riportava tutte le sue esperienze dal 1943 al 1945 e concluse il suo articolo come segue: "Si è voluto riferire quanto sopra nella speranza che altri Istituti meglio dotati di mezzi possano giungere ad un progresso migliore nella selezione del micete, nella preparazione colturale dell'antibiotico ed estrazione di esso".

A causa dell'indifferenza delle autorità politiche e scientifico-sanitarie italiane, Brotzu contattò un ex ufficiale inglese, Blyth Brooke, con il quale, dopo l'occupazione alleata della Sardegna, avvenuta dopo l'8 settembre 1943, aveva condotto con successo la campagna anti malarica finanziata dalla Rockefeller Foundation per conto dell'Ente Regionale Lotta Antianofele Sardegna (ERLAS) e gli inviò il suo articolo - memoriale. Quando Brooke, che rivestiva a quel tempo la carica di Ufficiale di Sanità a Londra, lesse il lavoro del suo amico italiano, si rese subito conto dell'importanza del suo contenuto per cui dopo opportuni contatti invitò Brotzu ad inviare copia del suo lavoro e una coltura della muffa a Florey a Oxford presso la Sir William Dunn School of Patology.

Le ricerche sulla coltura inviata da Cagliari furono iniziate da N. Heatley ma furono E. Abraham e H. Burton ad approfondire gli studi evidenziando, nel luglio 1949, che un estratto preparato da Heatley conteneva una sostanza attiva solo sui Gram positivi per cui fu indicata come cefalosporina P (e pertanto a quel tempo di scarso interesse vista la disponibilità e l'efficacia della penicillina). In un loro preparato invece riscontrarono un secondo antibiotico attivo anche sui Gram negativi, come descritto da Brotzu, per cui fu denominato cefalosporina N. Nel 1953 infine N. Newton ed E. Abraham separarono una terza sostanza denominata cefalosporina C. Questa però aveva una modesta azione antibiotica che fu possibile evidenziare solo grazie agli studi condotti sulla struttura chimica del composto dai suddetti ricercatori. Gli studi sull'anello beta lattamico simile a quello della penicillina, sull'anello dii-drotiazinico e sulle catene laterali, per i fenomeni di resistenza, si protrassero per anni con alterne fortune, entusiasmi e delusioni fino al successo. Le prime cefalosporine per impiego clinico su vasta scala furono messe in commercio nel 1963 con i nomi di Ceporin (Glaxo) e Keflin (Lilly).

L'anno dopo furono introdotti due derivati per uso intramuscolare, la cefalotina e la cefaloridina, quest'ultima ottenuta grazie alla sostituzione di un gruppo O-acetilico con un catione piridinico, ma più tossica a livello renale. I due composti ebbero un notevole successo anche se non passavano nel liquor ed erano poco efficaci per os. Per le caratteristiche della struttura chimica della cefalosporina, fu ovunque un fiorire di nuove molecole e, quando fu trovato il modo di modificare chimicamente la molecola della cefalosporina C, si spalancò la strada alla produzione di un vero arsenale di nuovi antibiotici a largo spettro, i beta-lattamici. Mentre evolvevano gli studi sulla penicillina e sulla streptomicina e quelli sulla cefalosporina erano agli albori, nel 1943 Yellapragada SubbaRow, direttore di una industria farmaceutica, invitò il vecchio amico settantenne Prof. B.M. Duggar, botanico dell'Università di Wisconsin, ad individuare in campioni di terreno, come aveva fatto Waksman, un principio diverso dalla streptomicina attivo contro il bacillo della tubercolosi.

Il Prof. Duggar chiese a molti colleghi di ogni parte del mondo dei campioni di terreno e, dopo qualche tempo, nell'estate del 1945, ricevette proprio da un collega della sua vecchia Università del Missouri, dove aveva insegnato quaranta anni prima, un terreno dal quale si sviluppò un actinomicete con azione antibatterica che nella piastra assumeva un brillante colore dorato per cui fu denominato Streptomyces aureofaciens. Da questo micete, dopo tanto lavoro, isolò nel 1947 una sostanza, somministrabile per os, con un profilo antibiotico ampio, in quanto attivo su Gram negativi e Gram positivi e sulle Ricketzie, ma purtroppo non attivo sul bacillo di Koch che era stato il motivo della ricerca. Il composto fu chiamato aureomicina in onore alle sue caratteristiche cromatiche. Lo studio approfondito della struttura chimica evidenziò poi che l'aureomicina era una clorotetraciclina con struttura simile a quella di un altro antibiotico la ossitetraciclina che conteneva un gruppo idrossilico. Quest'ultima, chiamata terramicina, era stata ottenuta dallo streptomyces rimosus che fu isolato nel 1949 da un terreno prelevato vicino alla ditta che aveva commissionato la ricerca, dopo avere esaminato 116.000 campioni di terreni provenienti da ogni parte del mondo.

Entrambi i farmaci ebbero un grande successo per la loro efficacia e per la possibilità di essere somministrati per os. Il successo aumentò quando nel 1952 togliendo l'atomo di cloro alla aureomicina si ottenne un nuovo antibiotico la tetraciclina o acromicina .Tali farmaci però non essendo completamente assorbiti a livello intestinale alteravano la flora intestinale che veniva rimpiazzata da ceppi di batteri resistenti alla tetracicline. Gli actinomiceti si erano dimostrati molto importanti nella storia degli antibiotici, e lo saranno anche nei decenni successivi, dando, fin dall'inizio degli anni 40, notevoli contributi all'isolamento delle prime sostanze antibatteriche efficaci (Tab.l). Per tale motivo nel 1947 al Prof. Bukhaider, botanico dell'Università di Yale, fu dato da un industria farmaceutica un fondo di 5.500 dollari per ricercare delle sostanze ad attività antibatterica. Chiese pertanto campioni di terreno a colleghi di varie parti del mondo e, in un terreno inviato dal Venezuela fu rinvenuto un actinomicete sconosciuto, poi denominato Streptomyces Venezuelae, dalle cui colture in seguito ad opportuni studi fu evidenziato da J.Ehrlich e da Q. Bartz un principio attivo ad azione antibiotica ampia su Gram negativi e sui Gram positivi e su quei patogeni, le Ricketzie, per cui era stato dato il contributo per l'inizio delle ricerche.

Tale sostanza fu denominata Cloramfenicolo, in quanto conteneva cloro nella sua molecola. In breve tempo le ricerche si estesero sul versante chimico, chiarendo la formula chimica per cui ci si rese conto che, molto più economicamente, poteva essere prodotta per sintesi. Nel 1949 in base a ricerche cliniche risultò che il principio attivo era efficace non solo sulle Ricketzie ma anche sulle Salmonelle, Brucelle, Haemophilus. Dal 1950 però divenne evidente che il cloramfenicolo poteva essere responsabile della comparsa di una discrasia ematica grave, l'anemia aplastica, con la frequenza di un caso ogni 20.000-100.000 trattati e con una mortalità, fra i colpiti da tale patologia, dell'80%. Per questo motivo il farmaco viene tuttora prescritto solo per la terapia di gravi infezioni quali meningite, tifo, febbre tifoide, che non possono essere trattati con antibiotici più sicuri a causa dei fenomeni di resistenza e di allergia. Nel 1951 E. Hazen e R. Broun, nel corso di estese ricerche sui microrganismi del suolo condotte dal Dipartimento dello stato di New York per la salute pubblica, isolarono dalla coltura di Stretomyces noursei una sostanza il nystatin che si dimostrò un antimicotico molto attivo in particolare contro la infezione da Candida.

Il preparato però non veniva assorbito per via intestinale e la delusione fu grande quando si evidenziò che per via sistemica era molto tossico e non utilizzabile. Mentre si constatava tale insuccesso nel 1953 P. Ganis isolò, da un campione di terra proveniente dalle rive dell'Orinoco nel Venezuela, lo Streptomyces nodosus dalle cui colture ricavarono una sostanza molto simile alla nistatina, l'anfotericina B, con attività antifungina nei riguardi di Histoplasma capsulatum, Cryptococcus neoformans, Coccidioides immitis, Candida, Blastomyces ,ecc. Il composto alquanto tossico viene usato solo per tali gravi infezioni.

Lavorando sempre sui terreni provenienti da varie parti del mondo alla ricerca di actinomiceti che producessero sostanze ad azione antibatterica, nel 1952 R. Bunch e J. McGuire isolarono uno Streptomyces, da un terreno prelevato da Iloilo nelle Filippine, al quale diedero nome erytreus in quanto produceva un pigmento rossastro. Da questo micete ottennero un antibiotico cui diedero nome eritromicina. In breve tempo si evidenziò che il composto e i derivati stearato ed estolato, quest'ultimo peraltro più tossico, erano efficaci sugli stessi patogeni sensibili alla penicillina, su quelli penicillino resistenti, su alcuni Gram negativi e anche sui micoplasmi. Nel 1954 Woodward coniò il termine macrolide, dato che la molecola è composta da un grande anello lattonico a cui sono legati gli zuccheri. Nello stesso anno da un ceppo di Streptomyces antibioticus fu isolata la oleandomicina che risultò meno attiva della eritromicina, e successivamente la troleandomicina che aveva il solo vantaggio di essere resistente dalla degradazione da parte del succo gastrico. Entrambi però erano più tossici della eritromicina.

Infine dallo streptomyces ambofaciens fu isolata la spiromicina. Nel 1956 da alcuni campioni di terreno prelevati in India e in Indonesia fu isolato un micete lo streptomyces orientalis dalle cui colture fu isolato un composto antibatterico cui fu dato il nome di Vancomicina. Questa risultò particolarmente efficace sui Gram positivi, in particolare sui ceppi di stafilococchi resistenti alla penicillina e sugli streptococchi fecalis e viridans. Vista però la sua azione tossica su rene, coclea, ecc., è stata riservata al trattamento di infezioni gravi quali endocarditi, setticemie ecc. spesso in associazione ad altri antibatterici. Nel 1959 un altro italiano si inserisce nella ricerca di un composto ad azione antibatterica.

Infatti, a Milano, C.C. Sensi, dal brodo di fermentazione dello Streptomyces mediterranei, isola un composto che, al momento di dargli un nome, in ricordo del termine rifìfì (lotta) di un famoso film francesce (Du rifìfì chez les hommes), la chiama Rifamicina in quanto è efficace nella lotta contro molti batteri ed in particolare contro Gram positivi e i bacilli della tubercolosi. In verità i risultati clinici non furono all'inizio cosi incoraggianti fino a quando V. Prelog e W. Oppolzer di Zurigo non chiarirono la composizione chimica che permise una serie di ricerche in base alle quali Sensi evidenziò, nel 1966, che il composto più efficace era un derivato semisintetico denominato Rifampicina.

 

  • Attualmente almeno il 30% dei pazienti ospedalizzati riceve uno o più cicli di terapia antibiotica e milioni di infezioni, potenzialmente letali, sono state curate anche se, non raramente, l'uso di tali farmaci è del tutto inappropriato, a volte è responsabile di effetti avversi e, spesso favorisce i fenomeni di resistenza. Questo ricorda Eschilo quando affermava: "ogni cosa porta il suo gravame" e, se a noi è permesso, potremmo dire "ogni medaglia ha il suo rovescio". È stato pertanto necessario, e lo sarà anche in futuro, ricercare e mettere a punto nuovi farmaci contribuendo quindi da un lato allo sviluppo di nuove classi di antibiotici (Tab.2) e dall'altro all'aumento delle resistenze e della spesa sanitaria.

 

Orazio

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