SCUOLA SCIENTIFICA TESLIANA DI NATUROPATIA OLISTICA

DIRITTO DELL’IMPRESA, DEL LAVORO E NUOVE TECNOLOGIE

Tipologie di interpello      

                                                                     

L’interpello disapplicativo   

                                                        

L’interpello disapplicativo, previsto all’articolo 11 comma 2 della Legge 212/2000, rimane l’unica categoria di interpello a rivestire carattere obbligatorio. Bisogna però precisare che la natura di obbligatorietà non limita la tutela del contribuente[1].

 Se la risposta all’istanza è negativa o vi è la presenza di presupposti di mancata presentazione dell’istanza, non si impedisce la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione dei fatti per disapplicazione della norma in sede amministrativa e giurisdizionale[2].

 L’interpello disapplicativo è già presente nel nostro ordinamento giuridico contemplato dal vigente art.37-bis, comma 8, del DPR n.600/1973 che va verso la sua definizione normativa. Attraverso questa categoria di interpello, il contribuente può ottenere “la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario”, con una previa dimostrazione dell’assenza di fatti o situazioni antielusive che giustificano la richiesta di disapplicazione[3].

L’interpello disapplicativo può ritenersi “obbligatorio” in quanto “laddove l’autonoma disapplicazione non venisse censurata dal Fisco, resterebbe comunque punibile il mancato ricorso all’interpello”[4]. Non si impedisce all’interessato di chiedere la disapplicazione delle norme antielusive senza il consenso del Fisco e non determina l’insorgere di preclusioni, come prescrive l’art.11, comma 2 della legge 212/2000 che così recita: “Nei casi in cui non sia stata resa risposta favorevole, resta ferma la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione di cui al periodo precedente anche ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa”. Ciò è confermato dal D.L.vo.n.156/2015 che cosi prescrive: “la presentazione dell’istanza di interpello ovvero la mancata presentazione non pregiudicano, in alcun caso, la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione della spettanza della disapplicazione anche nelle successive fasi dell’accertamento e del contenzioso[5].

Il contribuente trova un importante riconoscimento nell’art.6, comma 2 del D.L.vo n.156/2015 dal momento che la presentazione dell’istanza dell’interpello disapplicativo comporta la necessità che l’atto di accertamento deve essere preceduto, a pena di nullità, da una richiesta di chiarimenti e specificamente motivato in base alle informazioni fornite dal istante.

 Il legislatore ha chiarito con l’art.6, comma 1 del D.L.vo n.156/2015 che per quanto riguarda le risposte delle istanze di interpello di cui l’art.11 cit., esse non sono impugnabili con unica eccezione concernenti l’interpello disapplicativo ai sensi della comma 2 del art.11 .

Rientrano in tipologia di interpello disapplicativo alcune fattispecie con la finalità di disapplicare tra cui le disposizioni che limitano l’utilizzo delle perdite, delle eccedenze di interessi passivi e delle eccedenze ACE anche a seguito delle operazioni straordinarie ai sensi del art.84 comma 3 e art.172 comma 7 del Tuir e i fenomeni di “dividend washing”[6] come previsto dal art.109, comma 3-sexies del Tuir. Non rientrano nella categoria delle istanze dell’interpello disapplicativo le disposizioni che prevedono una deducibilità a forfait di taluni costi (prendiamo come esempio l’art.164 del Tuir per le spese e gli altri componenti negativi relativi ai alcuni trasporto a motore che si usano nell’esercizio di imprese e delle arti o professioni, per evitare un uso evasivo strettamente privatistico del tale bene); non rientrano nemmeno le norme che regolano la residenza delle persone fisiche o dei soggetti diversi ai sensi del art. 2 e 73 del Tuir che possono creare un fittizio trasferimento.

Le regole procedurali di presentazione dell’istanza di interpello disapplicativo sono quelle comuni a tutti tipi di istanze dell’interpello previste dall’art.11 della legge 212/2000, con riferimento ai commi 3, 5 e 6 dell’art.11 e riferimento all’art.2-6 del D.lgs.156/2015 e al provv .Agenzia delle Entrate del 01.03.2018 n.47688.

La mancata presentazione dell’istanza comporta un regime sanzionatorio previsto all’art.11, comma 7-ter del D.lgs.471/1997 che consiste in una sanzione amministrativa da 2000,00 a 21.000,00 euro e una sanzione amministrativa raddoppiata nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria non riconosce la disapplicazione delle norme riguardando le deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive (in assenza di un divieto posto dal legislatore, la sanzione può essere oggetto di ravvedimento operoso ai sensi del art.13 del D.lgs. 472/97,ed in questo caso, se la presentazione avviene oltre il termine, il contribuente può beneficiare delle sanzioni ridotte).

Andrea Melania Dott.ssa DUMITRU

UNIVERSITA’ TELEMATICA INTERNAZIONALE «UNINETTUNO»

Facolta’ Di Giurisprudenza

DIRITTO DELL’IMPRESA, DEL LAVORO E NUOVE TECNOLOGIE              

ELABORATO FINALE IN DIRITTO TRIBUTARIO                                                 

IL DIRITTO D’INTERPELLO                                                              

Statuto del contribuente presente nell'art 11 della legge 212/2000 come modificato dall'art 156/2015

Anno accademico 2020/2021

 

[1] Cfr. alla sentenza 18604 dell’11 luglio 2019 Corte di Cassazione che, nel contesto ante del D.lgs.156/2015è atto definitivo in sede amministrativa, ed è autonomamente impugnabile, sono inammissibili l’istanza di revisione detto rigetto e anche una relativa impugnazione del relativo diniego. L’istanza si costituisce come una mera sollecitazione del potere di autotutela.

[2] Corte di Cassazione 15.03.2019 n.7402.

[3] Con riferimento “Il Fisco” del 30/2015 pag.2917.

[4] come riferito nel “Approfondimento in materia di fiscalità e diritto tributario Il tributo” 17/2016, pag.14

[5] come riferito nel “Il tributo “ 17/2016, pag.14.

[6] Il dividend washing è una pratica tecnica con carattere elusivo, sfruttando le diversità di regime tributario applicabili a determinate tipologie reddituali che fa ottenere ai soggetti che non ne avrebbero diritto vantaggi ed agevolazioni che l’ordinamento accorda a determinate categorie reddituali. L’operazione consiste nell’imputare il reddito derivante dalla partecipazione in una società di capitali in capo ad un soggetto che sta beneficiando di un trattamento tributario agevolato rispetti al normale e legittimo reddito.

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