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Categoria: LA PATRIA POTESTAS

adoptio

Adoptio

L’adoptio è un istituto  la cui origine e storia sono connesse all’antica familia romana, che solo nell’età di Giustiniano cambia alcuni connotati tale da fargli assumere un assetto simile a quello moderno: ebbe quale fine principale quello di spostare forze lavorative da una famiglia all’altra, posto in essere con un atto privato basato sulla volontà dei due padri di famiglia interessati e senza nessun tipo di manifestazione di volontà, almeno nell’epoca più antica,  da parte dell’adottato.

L’adoptio o datio in adoptionem  era l’atto giuridico per mezzo del quale si dava in adozione un filius familias alieni iuris , cioè già sottoposto alla potestà del proprio pater familias. Come affermava Gaio  “Imperio magistratus adoptamus eos, qui in potestate parentium sunt, sive primum gradum libero rum obtineant, qualis est fuliu et filia, sive inferiorem, qualis est nepotis, pronepos pronentis”, secondo cui questo atto giuridico era previsto solo per adottare le persone alieni iuris: un soggetto già dipendete da un pater familias usciva dalla famiglia originaria per entrare a far parte della famiglia dell’adottante perdendo, almeno fino al periodo classico, qualsiasi rapporto di parentela, diritti e doveri, nei confronti della famiglia d’origine, assumendoli, dal momento dell’adozione, nei confronti della nuova famiglia dell’adottante, che diventa il suo nuovo pater familias.

Non si hanno notizie certe riguardanti il periodo  d’origine di questo istituto, di certo è un istituto più “giovane” dell’adrogatio, se sia anteriore o posteriore alle XII tavole, anche se una norma contenuta nelle stesse, ha sicuramente contribuito all’evoluzione dell’adozione stessa “Si pater filium ter venum duuit, filius a patre libere esto”: il filius per essere liberato dalla patria potestas originaria, ed entrare sotto la patria postestas dell’adottante,  doveva essere venduto per tre volte.

Per realizzare questo scopo “il pater vendeva il figlio per tre volte di seguito ad un terzo col pactum fiduciae  di manometterlo: in seguito alla manomissione, il filius diventava libero ma ricadeva sotto la patria potestas del pater; però dopo la terza vendita risultava libero della potestas”.

Nel diritto antico, quindi,  l’adoptio  avveniva con una cerimonia complessa, costituita da ben due atti giuridici:  dapprima si estingueva la potestà del padre originario, attraverso la mancipatio, successivamente si svolgeva una rivendicazione fittizia della potestà del padre dell’adottante per mezzo della in iure cessio:  il tutto avveniva svolto in imperium magistratus, il quale assisteva le parti nelle manomissioni richieste per la mancipatio e nella rivendicazione fittizia da parte dell’adottante.

Nello specifico il padre naturale trasferiva mediante macipatio, al pater adottante il proprio figlio. L’adottante lo liberava mediate manumissio, a questo punto il padre naturale lo mancipa per una seconda volta e l’adottante lo libera una seconda volta. Con la terza mancipatio il padre naturale perde la patria postestas sul figlio che viene rivendicato dall’adottante: “ in conseguenza della mancipatio, o delle tre mancipationes, la figlia o il figlio erano divenuti mancipii del compratore; ma il padre aveva apposto nella vendita, mediante nuncupatio, un patto espresso pel quale il compratore doveva procedere a rivendicargli il figlio  o la figlia ; e questi di fatto eseguiva codesta remancipatio”. Una o due macipatio non bastavano affinché si realizzasse l’ uscita definitiva del filius dalla patria postestas del padre originario, in quanto formalizzando solo una prima o una seconda mancipatio  il filius tornava sotto la patria potestas originaria.

Solo dopo la formalizzazione dell’atto giuridico appena descritto poteva aver luogo il secondo atto giuridico, ossia quello della in iure cessio: il pater familias  originario e l’adottante comparivano davanti al pretore  per lo svolgimento di un processo fittizio dove l’adottante, che ha precedentemente comprato il filius, lo rivendica come proprio figlio, mentre il padre originario tace, non contraddicendo alla domanda dell’attore fittizio, oppure accetta. Subito dopo il pretore aggiudica il filius al rivendicatore, in conformità alla sua domanda giudiziale , in qualità di figlio o nipote.

Il pretore e il governatore , essendo posta in essere l’adozione presso imperio magistratus ( presso il pretore in iure o nelle province presso il governatore), avevano lo specifico dovere di assistere le parti interessate e, come si è visto, affinché la datio in adoptionem producesse i suoi effetti giuridici si doveva applicare la finta rivendicazione: “l’adottante rivendicava in giudizio la persona che intendeva adottare reclamandolo come figlio proprio; il possessore, sia un terzo che l’attuale pater familias, non si opponeva a tale pretesa, e quindi, in mancanza di contraddittorio, il pretore aggiudicava la persona come filius a colui che lo rivendicava: per mezzo appunto di questo finto processo, che nel mondo romano è applicato frequentemente, la persona diventa soggetta alla patria potestas dell’adottante”.

E’ evidente che nel formarsi di questo istituto manca, almeno nel periodo più antico, la presenza  e soprattutto  la volontà dell’adottato, il quale rappresentava solo un oggetto di questo atto giuridico, che passava da una potestà all’altra in qualità di filius o di nepos:

Il procedimento sopra rievocato era previsto solo per i figli maschi, perché se l’individuo oggetto dell’adozione fosse stata una figlia femmina sarebbe bastata una sola vendita, una sola mancipatio.

Per quanto riguarda gli effetti dell’adozione, il passaggio da una famiglia all’altra, “determina un mutamento nello status familiae, nel senso che l’adottato esce dalla famiglia per entrare in quella dell’adottante; nessuna modificazione invece ha luogo circa la capacità, giacché l’adottato era e resta alieni iuris”: dal perfezionamento dell’atto giuridico l’adottante acquista nei confronti dell’adottato tutti i poteri inerenti alla patria potestas, compreso lo ius vitae ac necis.

Gli effetti giuridici dell’adozione erano sicuramente meno invasivi di quelli dell’adrogatio: mentre nella prima solo l’adottato cambia lo status familiae, nella seconda muta lo status familiae dell’adrogato e di tutti i componenti della sua famiglia, perché di fatto la sua famiglia originaria non esiste più, perché entrato a far parte di un’altra famiglia con tutti i suoi originari sottomessi, cambiando anche il loro status familiae.

Molti sono state le spiegazioni che si sono costruite attorno alla complessa struttura del  rituale impiegato, ma l’unica risposta plausibile sembra essere quella dell’ assoluta  non trasmissibilità della patria potestas sui propri discendenti infatti, come si sa, in linea di principio questo potere si estingue solo con la morte del suo titolare, che ha come naturale conseguenza la parziale frantumazione del gruppo familiare.

Probabilmente, sin dall’età regia, secondo quanto tramandato da Dionigi di Alicarnasso, e sicuramente dall’età decemvirale (451-450 a.C.) la patria potestas fu limitata dall’importante sanzione prevista per chi avesse abusato del ius vendendi, costruendo in tal modo, con il rituale sopradescritto l’unico atto possibile, essendo ancora in vita il pater, di liberare il filius dalla patria potestas.

Non si dimentichi inoltre, come già osservato, che questo complesso procedimento è riportato in una norma delle XII tavole,  norma che rappresentò sicuramente una sorta di sanzione  sull’eventuale abuso che il pater potesse effettuare sui propri figli, per i quali poteva si decidere di vendere ma non in modo infinito: fenomeni che  sicuramente trovarono terreno fertile nella situazione economico-sociale del V secolo a.C. quando, a seguito della caduta della monarchia, la maggior parte di terre da coltivare era detenuta dai patrizi: condizione che costrinse inevitabilmente la plebe a trasferire la loro forza di lavoro ai patrizi, attraverso nexum o con la vendita dei propri figli in mancipio all’acquirente, pur rimanendo sotto la potestà del proprio  pater.

Questa norma e la sua applicazione ai fini dell’adoptio non solo dimostrano l’indisponibilità della patria potestas, ma ci evidenzia un ulteriore aspetto della stessa, ossia la sua totale incompatibilità con un analogo potere: mentre non si dissolve in caso di semplice vendita del figlio, sembra dissolversi nel caso in cui la patria potestas viene esplicata dall’adottante, nel senso che non possono coesistere due patria potestas sullo stesso individuo. Infatti nel caso di estinzione della patria potestas dell’adottante, il filius non tornerà sotto alla potestas del suo padre naturale, ma resterà del tutto libero, poiché divenuto sui iuris.

I poteri originari del pater familias, nel periodo arcaico, enucleati sotto la patria potestas, appaiono  regolati in maniera diversa dal sistema dei poteri che il pater esercitava sulle altre persone dipendenti, liberi in macipio e schiavi, e sulle altre entità patrimoniali:  i poteri sui familiari,  patria potestas e  manus, non erano trasferibili; mentre le varie forme di proprietà e di potestà economicamente rilevanti erano trasferibili da un pater all’altro,  con funzioni sostanzialmente diverse.

Successivamente, nell’età postclassica, l’adoptio si concludeva in modo più semplice con le sole dichiarazioni delle parti interessate rese al magistrato municipale e destinate a porre in essere il nuovo rapporto familiare.

I requisiti fondamentali sia  dell’adoptio che dell’arrogatio erano sostanzialmente due: che l’arrogante o adottante fosse maschio pater familias e sui iuris. In particolare nell’adoptio, con il passare del tempo e come si vedrà più avanti, in primis si fece più insistente la richiesta di una congrua differenza di età fra l’adottante e l’adottato, in secundis si ammise l’adozione di donne, di impuberi e l’aggregazione di nuovi membri anche alle famiglie con più figli. Potevano essere adottati  tutte le persone alieni iuris senza distinzione di sesso  e di età, anche se per quest’ultima si affermò, la necessità di porre delle norme che regolassero una ragionevole differenza di età fra l’adottato e l’adottante, tale da poter giustificare un rapporto di filiazione naturale.

L’adottato perdeva ogni rapporto giuridico con la famiglia originaria ed qualsiasi aspettativa  di successione, acquistando nella nuova famiglia la posizione di figlio a tutti gli effetti e con diritto di successione del pater adottante.

La Costituzione di Giustiniano (527-565 d. C.), nel tardo Impero Romano, costituì una riforma decisiva per quanto riguarda l’adoptio, dettata e soprattutto risultato degli importanti cambiamenti dovuti alla nuova concezione della famiglia e della patria potestas, cambiamenti radicali e profondi derivanti dal cristianesimo e dall’ellenismo: “La essenza di queste trasformazioni consiste nel sopravvento dell’elemento etico su quello giuridico , del ius naturale sulla lex, come dice Giustiniano, nella prevalenza del dovere sul diritto , impostazione etica ha la famiglia e la patria potestas, ed ugualmente contenuto etico ha l’adozione”.

Con la riforma si continuò a mantenere la distinzione tra adrogatio, riferita sempre alle persone sui iuris, e l’adoptio, riferita sempre alle persone alieni iuris, ma quest’ultima venne distinta in adoptio plena e adoptio minus plena: “ Adoptio autem duo bus modis fit: aut principali rescritto, aut imperio magistratus. Imperatoris auctoritate adoptare quis potest eos easve, qui, quave sui iuris sunt: quae species adoptionis dicitur adrogatio: imperio magistratus adoptamus eos, easve, qui, quaeve in potestate parentum sunt, sive primum gradum libero rum obtineant, qualis est filius, filia: sive inferriorem, qualis est nepos, neptis, pronepos, proneptis”:

L’adoptio plena fa acquistare all’adottante la patria potestas ed elimina qualsiasi diritto successorio dell’adottato nei riguardi della famila originaria, e può aver luogo

solo se un discendente è adottato da un ascendente; mentre per  la l’adoptio minus plena i vincoli di parentela e le aspettative successorie nei confronti della famiglia originaria rimangono  intatte e si aggiungono le nuove aspettative che l’adottato ha, acquista, nei confronti della nuova famiglia adottiva.

La ragione di questi cambiamenti era quella che “l’imperatore trova iniquo che i diritti del sangue, nexu divino copulata, possano essere ….. calpestati (ludibrio defraudari) e prescrive che l’adozione non abbia altrimenti il suo effetto se non quanto l’adottante è un ascendente naturale …… lo spirito domestico ha trionfato sul carattere politico”: grazie ai principi del cristianesimo e dell’ellenismo “la natura prevale sulla lex” (P. Biondi).

 

 

Adoptio plena

L’adoptio plena, come accennato prima, era prevista per le adozione in ambito familiare e veniva utilizzata dall’ascendente paterno o materno per l’adozione di un discendente.

Si verificava in due casi : nel caso dell’adozione da parte di un ascendente (materno o paterno) e nel caso di adozione di un nipote dato in adozione ad un estraneo dall’avo, che mantiene sotto la sua potestà il padre dell’adottato.

Questo tipo di adozione produceva capitis deminutio minima, ossia la perdita della posizione nella famiglia precedente: l’adottato perdeva qualsiasi legame con la famiglia d’origine, passando sotto la patria potestas dell’adottante. Di conseguenza cessano tutti i doveri e i diritti nei confronti della famiglia di origine, fra i quali il diritto di successione. Assumendo lo status di filius, quindi di figlio legittimo, nella nuova famiglia adottiva, acquista tutti i diritti e i doveri nei confronti di essa, compreso il diritto di successione.

Sostanzialmente non cambia nulla rispetto all’adozione classica, se non la sua distinzione dall’adoptio minus plena introdotta, come evidenziato in precedenza, dalla riforma giustinianea.

 

 

Adoptio minus plena

L’adoptio minus plena fu la vera novità della riforma apportata da Giustiniano, destinata comunque nei confronti di persone alieni iuris, ma caratterizzata dal fatto che era istituibile in tutti i casi in cui non ci fosse una relazione familiare fra l’adottante e l’adottato, a differenza dell’adoptio plena nella quale era invece prevista una relazione parentale. Nel caso dell’adoptio minus plena l’adottato non si sottoponeva alla patria potestas dell’adottante, che a sua volta non acquistava nessuna titolarità sui beni dell’adottato, neanche l’usufrutto: l’adottato non acquistava lo status di figlio legittimo, pertanto non poteva vantare nei confronti dell’adottante alcun diritto se non quello di successione nell’ordine di successione  ab intestato, mentre continuava ad mantenere il vincolo di parentela e il diritto di successione con la famiglia originaria.

Questo tipo di adozione fu introdotto modellandosi con il nuovo concetto di famiglia romana, fondata sulla parentela naturale, e permettendo di fare usufruire del diritto di successione la persona che è stata adottata, solo nei confronti dell’adottante e non anche nei confronti delle altre persone della famiglia dell’adottante stesso.

Altra novità, nell’ambito di questo tipo di adozione, è data dalla possibilità data alla donna, rimasta senza figli perché morti, di adottare qualcuno: questa possibilità, introdotta per la prima volta nel diritto romano, sottolinea l’evoluzione del concetto di famiglia ma soprattutto della patria potestas, non intesa più come conditio sine qua non esclusiva, da questo periodo ed in questo tipo di adozione.

 

Le procedure dell’ adoptio plena e dell’ adoptio minus plena

Le procedure per l’adoptio plena e l’adoptio minus plena  si ponevano comunque in essere imperio magistratus, anche se la riforma giustinianea cambiò la procedura presso il pretore, abrogando la procedura del finto processo della triplice vendita : era sufficiente la presenza del pater familias originario con il filius e l’adottante innanzi al competente magistrato, per esprimere la concorde volontà in merito all’istituzione dell’adozione.

Non si ammise più l’adozione fra assenti, in particolare del filius, “oggetto” dell’adozione stessa, che nei tempi più antichi non era neanche presente: dalla riforma giustinianea senza la sua presenza l’adozione non poteva essere perfezionata, “per la prima volta l’adozione appare quale trasferimento, una cessione del figlio da un padre all’altro… l’imperatore ha pure ordinato per la prima volta la necessità dell’adesione del filius familias, se non nella forma di aperta dichiarazione, almeno in quella di un assentimento passivo manifestato dal silenzio, dal non contraddire all’atto dei due padri”. Il Volterra non esclude, in questo nuovo procedimento, anche il consenso del filius dato in adozione: “ Nel diritto giustinianeo, abolita la previa emancipazione dell’adottando della famiglia originaria, l’adozione si presenta come un atto compiuto dai due pater familias con il consenso dell’adottato. Tale atto consiste in una dichiarazione delle parti avanti al magistrato o avanti ad un notaio (per tabulas), cui l’adottato aderisce, sia pure nella forma passiva del non dissentire”: consenso esternato o meno, l’adottato non poteva comunque dissentire la volontà del pater familias e dell’adottante. Un passo avanti era stato comunque fatto e cioè l’ammissione della sua presenza al divenire del suo destino di adottato.

 

 

 

L’evolversi del concetto del legame naturale, nell’ambito familiare, corrisponde anche a quella che è l’evoluzione della patria potestas, già a partire dal periodo classico e, la manifestazione di questo evolversi, come si è detto si manifesta nell’istituto dell’adozione : “ lo scopo dell’adozione è di procurare all’adottante, secondo lo ius legitimum et pontificium, ciò ch’egli non ha potuto ottenere dalla natura e che l’acquisto artificiale di un figlio deve stabilire fra esso e l’adottante un rapporto quanto mai simile a quello creato dalla natura”.

E’ questo il principio adoptio naturam imitatur che, nonostante fosse già presente nel periodo classico, fu codificato solo nel Basso Impero Romano, modificando il concetto di adozione soprattutto,  con Giustiniano: “ L’adozione giustinianea non è più in genere l’aggregazione ad una nuova famiglia né rappresenta l’assoggettamento alla patria potestas dell’adottante. Ciò che prevale è ormai quello che pare il lato inverso, ma che in realtà presenta un pensiero differente l’acquisto della posizione e dei diritti di figlio rispetto di figlio adottivo”.

L’influenza del principio adoptio naturam imitatur cambia i concetti di paternità e di filiazione: il pater continuava ad avere la patria potestas, sia nel caso dell’adrogatio che nell’adoptio plena, ma non nel caso dell’adoptio minus plena. Se da un lato la patria potestas rappresentava la protezione dell’adottante, soprattutto patrimoniale, nei confronti dell’adottato, dall’altro la patria potestà, dal periodo post classico, cominciava a perdere il suo contenuto patriarcale assoluto, fra i quali lo ius vitae ac necis: il pater diventa più padre e meno sovrano nei confronti dell’adottato, il quale viene ritenuto figlio vero, sottolineando positivamente sempre più la relazione parentale che caratterizza il rapporto tra padre e figlio.

Nella codificazione giustinianea vennero specificate le condizioni e i requisiti, in base al principio dell’adoptio naturam intatur, di questo rapporto parentela che s’instaurava: non potevano adottare né gli impuberi, né coloro i quali non avessero raggiunto la maggiore età (cioè 25 anni), né gli evirati.

Requisito importante per l’adozione fu quello dell’età congrua stabilita, per poter adottare, a sessant’anni d’età, a meno che non esistesse una iusta causa per la quale non potesse esserci alcuna speranza di avere figli e, ovviamente,  la mancanza di altri figli. Si stabilì altresì l’obbligatoria differenza di età tra l’adottante, che doveva essere maggiore di diciotto anni dell’adottato. La codificazione giustinianea stabiliva “Minorem natu non posse maiorem adoptare placet: adoptio enim naturam imitatur te pro nostro est, ut maior sit filius quam pater debet itaqueis, qui sibi per adrogationem vel adptionem filium facit, plena pubertate, id est decem et octo annis precedere”, poiché in caso contrario non ci sarebbe stato un rapporto secondo natura.

 

 

 

La patria potestas poteva essere minacciata da eventi posti in essere da terzi che si comportavano nei confronti dei figli di altri come se fossero titolari di potestà sugli stessi: fin dall’epoca più antica, l’avverarsi di questo evento dava luogo all’actio sacramenti in rem e alla rei vindicatio, ossia due azioni esperibili per riprendere il possesso della res sottratta al legittimo proprietario, in pratica si ritenevano potestà e proprietà due diritti uguali: è impensabile oggi giorno uguagliare un figlio ad una cosa ma,  come si sa, fin dall’epoca più antica, i figli erano ritenuti di  “proprietà” del pater familias come conseguenza naturale di quel grande potere che si identificava nella patria potestas.

Con il passare del tempo soprattutto per la rei vindicatio non fu più utilizzata per la rivendicazione della patria potestas, anche perché risultava poco consono acquistare la potestà sui figli altrui pagando una somma di denaro a titolo di litis aestimatio.

Col passare del tempo si affermarono sempre di più alcuni mezzi posti dal pretore, come l’interdictum (esibitorio), de liberis exhibendis e de liberis ducendis (proibitorio), per mezzo dei quali si rivendicava e si rientrava nelle facoltà tipiche della patria postestas, azione mirata a far restituire immediatamente al pater il proprio figlio sottrattogli in mala fede. Alcune eccezioni erano previste, circa il diritto di intentare l’interdictum, al verificarsi di determinati eventi: così nel caso in cui questo tipo di mezzo veniva intentato contro la madre e questa invocasse gravi ragioni che rendessero opportuna la dimora del figlio presso di lei anziché presso il pater; o ancora il caso in cui il pater si avvaleva d’ intentare  gli interdetti de liberis exibendis e ducendis contro il marito della propria figlia, per riprenderla con sé e spezzando il vincolo del matrimonio.

L’esercizio della patria potestas, oltre ad essere ostacolato da estranei, poteva altresì essere turbato dalla ribellione o addirittura dalla fuga dei figli, conseguenze prevedibili e soprattutto naturali, visto l’ingombrante peso della potestas. L’ordinamento giuridico non si occupava di questi  casi, se ne occupava direttamente il pater familias, che provvedeva a riprendere o a ritrovare il figlio e provvedere alla sua punizione.

 

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