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Categoria: CAPORETTO

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La storia di Vittorio Veneto, momento conclusivo della prima guerra mondiale

a) Per l’Italia Vittorio Venero è ancora oggi nome singolarmente caro. Il nome, anzitutto, di una battaglia di rottura che ha preparato e consentito una brillante manovra sulle retrovie dell’avversario, secondo schemi tanto cari a Napoleone che prediligeva giustamente tale tipo di manovra in quanto atto a concludere favorevolmente grandi scontri armati. Vittorio Venero ha espresso materialmente il nostro ritorno a Trento ed a Gorizia e Trieste, degna conclusione non solo del conflitto più violento e sanguinoso mai verificatosi, ma anche dell’intero ciclo storico del nostro risorgimento.

A poco più di un anno dallo sfondamento delle nostre linee a Caporetto, che era sembrato potesse travolgere l’Italia tutta in una disfatta irreparabile, il nostro Comando Supremo, la sera del 3 novembre 1918 annunciava, con estrema concisione: “le nostre truppe hanno occupato Trento e sono sbarcate a Trieste. Il tricolore sventola sul Castello del Buon Consiglio e sulla Torre di S. Giusto”.

In un anno, quindi, l’Italia si è trasformata profondamente . Conscia del pericolo corso dalla propria unità nazionale, delle responsabilità verso i popoli alleati della Intesa, ha contenuto o quantomeno temporaneamente  attenuato le inevitabili polemiche sulla responsabilità della sconfitta di Caporetto; ha “sentito” la necessità urgente di fare muro sul Piave. Governo, associazioni sindacali, partiti – anche i partiti in precedenza accusati di svolgere propaganda pacifista – non hanno dissociato le loro responsabilità da quelle dei combattenti; l’intera nazione si è sentita, come mai in precedenza, ugualmente coinvolta nello sforzo decisivo: ha avuto fede. A Vittorio Veneto non si sarebbe mai arrivati, se  cittadini e soldati non avessero costituito un “Esercito solo”.

b) Per l’Intesa  Vittorio Veneto era destinato a rappresentare una vittoria di valore insperato, perché decisiva, di portata grandiosa nel campo militare come anche – forse soprattutto – nel campo politico.

Eliminando definitivamente dal conflitto l’Austria-Ungheria, si consegue l’isolamento strategico della Germania, che a sua volta sarà costretta a deporre le armi, ponendo fine all’intero conflitto mondiale. Fra le clausole di armistizio, infatti, il Comando Supremo Italiano inserisce quella della libera disponibilità delle ferrovie austriache sia per l’Esercito Italiano sia per le truppe dell’Intesa: l’esercito germanico, già duramente impegnato sul fronte francese, non può sostenere la nuova minaccia che si profila alle sue spalle, attraverso il Tirolo.

Vittorio Veneto, in sostanza, fa precipitare con mesi di anticipo sulle più rosee previsioni, una situazione già difficile, ma non ancora compromessa per gli Imperi Centrali, né sul piano militare né su quello politico generale.

L’esercito tedesco era stato respinto nella seconda battaglia della Marna; aveva ceduto i territori francesi occupati per rettificare il fronte, ma appariva ancora in condizioni di resistere a lungo6. I franco-inglesi prevedevano la fine vittoriosa del conflitto, ma soltanto nella primavera del 1919. la decisione nata a Vittorio Veneto giungeva improvvisa sul più difficile dei teatri della guerra mondiale; sulla fronte che gli alleati si ostinavano a considerare di secondaria importanza; per opera dell’esercito che aveva conosciuto, un anno prima soltanto, il grave rovescio di Caporetto e che da lunghi mesi sosteneva pressoché da solo l’intero peso del potente esercito austro-ungarico.

c) Per la storia Vittorio Veneto, momento conclusivo della prima guerra mondiale, è evento bellico notevole per saggezza di pianificazione e di esecuzione; rappresenta inoltre la fine di un’epoca, il naufragio dell’impero asburgico, che si era retto per secoli reprimendo spietatamente ogni fermento e moto rivoluzionario.

La conclusione del nostro Risorgimento è definita da Croce “il capolavoro dello spirito liberale europeo” – Nella realtà Vittorio Veneto costituisce la meta raggiunta dalla Santa Alleanza dei popoli che Mazzini – di cui è ben nota la visione europeistica – aveva predicato, contrapponendola all’ormai sorpassata Santa Alleanza dei Re. Quella che si chiude vittoriosamente nel 1918 è la grande guerra delle Nazioni che, provocando lo sfacelo dell’Impero austro-ungarico, e per contraccolpo anche il cedimento della Germania, permette all’Italia di vedere soddisfatte le proprie aspirazioni nazionali e di sicurezza; consente però, in pari tempo, la nascita di un certo numero di Stati nazionali medi e piccoli.

L’Italia ha portato a Vittorio Veneto, accanto ad un saldo organismo militare, il contributo della sua millenaria civiltà, la sua lunga esperienza di vita, i suoi ideali risorgimentali, il canto dei poeti, l’intramontabile armonia verdiana.

Duole il constatare che la bella vittoria dello spirito mazziniano sia destinata a rimanere mutilata. I principi di cooperazione internazionale prenderanno sì consistenza sino a divenire aspirazione di popoli interi, saranno solennemente proclamati dalla Società delle Nazioni, ma non riusciranno ad aver ragione di risorgenti, retrivi nazionalismi spinti all’eccesso.

 

*Scrive il  Generale Ludendorff: “A Vittorio Veneto, l’Austria non aveva perduto una battaglia, ma aveva perduto la guerra e se stessa, trascinando anche la Germania nella propria rovina. “

“Senza la battaglia distruttrice di Vittorio Veneto, noi avremmo potuto, in unione d’armi con la Monarchia austro-ungarica, continuare la resistenza disperata per tutto l’inverno, aver in tal modo tempo e possibilità di conseguire una pace meno dura, perché anche gli alleati erano molto stanchi. L’inverno avrebbe determinato un periodo di sosta delle operazioni offensive franco-inglesi e, sebbene ormai le preponderanti forze militari che giungevano in Francia avessero deciso la guerra contro di noi, pure, se l’Austria non fosse crollata, avremmo potuto guadagnar tempo e resistere senza difficoltà, per tutto l’inverno.”

 

“La guerra è fatto di imprevisti. Nell’inverno avremmo potuto risanare le nostre piaghe e certamente con la minaccia di un altro anno di guerra e di una resistenza portata fino al massimo grado della disperazione, avremmo ottenuto una pace assai meno umiliante”.

 

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Vittorio Veneto

 

 

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