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Categoria: DIRITTI DELL'UOMO

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Una riunione plenaria del Consiglio Italiano per i Rifugiati (C.I.R.)

 

Anno 2009_primi di Ottobre

 

Dopo aver preso parte, i primi di Ottobre, ad una riunione plenaria del Consiglio Italiano per i Rifugiati (C.I.R.), riunione da cui è emerso che, non ostanti gli innumerevoli sforzi prodotti, anche a livello di Diplomazia, acciocché agli “osservatori” internazionali, compresi quelli del CIR, fosse consentito ispezionare i campi profughi libici in cui vivono (è un eufemismo) letteralmente “affastellati” migliaia e migliaia di profughi, ivi compresi quelli dei “respingimenti” italiani, e questo, al solo scopo di verificarne, de visu, le esatte condizioni in cui si trovano ed il loro stato di salute, di raccogliere le immancabili “lamentazioni” e di provvedere, se del caso, ad accelerare, per chi ne ha diritto, la pratica per il riconoscimento del Diritto d’Asilo, la LIDU, come, peraltro, gli altri convenuti, ha dovuto prendere amaramente atto che le autorità libiche, in modo, sia velato che esplicito, non intendono affatto subire, così come le hanno definite, “indebite interferenze”.

Ebbene, alla luce di quanto sopra e sulla base di quanto suggerito dal suo rappresentante in CIR, la LIDU, l’8 Ottobre, ha, quindi, inviato alle organizzazioni di sua competenza la comunicazione riportata in calce a questa nota.

Comunicazione in cui, considerata la ricognizione sullo “stato dell’arte”, relativo a quanto sopra, e le valutazioni generali che ne conseguono, valutazioni tutte decisamente orientate a ritenere che, se questo è il “soccorso” che, a livello internazionale, viene dato a migliaia e migliaia di profughi, tanto vale evitare il prosieguo di un sostanziale sperpero di risorse, da cui il solo governo libico trae utilità e giovamento, si afferma che la “strategia” internazionale di solidarietà messa in campo per i migranti clandestini deve cambiare, per così dire, “registro”.

Questo, anche e soprattutto, perché, nel contesto di un’assenza pressoché totale di risultati, si constata, in sovrappiù, il pericoloso consolidarsi di un “sistema” semicarcerario di contenzione nei confronti di chi, invece, dovrebbe essere trattato da “ospite temporaneo”, ed, in quanto tale, salvaguardato, assistito e tutelato nei suoi Diritti Fondamentali.

Per cui, allo scopo di porre fine alla situazione in essere, una volta contenuta, in qualche modo, l’inevitabile “riottosità” di Gheddafi ad accettare un cambio di strategia, possano essere percorse due strade alternative: che i campi, fermamente tutelati da ufficiali, quanto formali, prerogative di extraterritorialità, così come avviene per le sedi diplomatiche

d’ogni Paese sovrano, siano presidiati e controllati dai “Caschi blu”, nonché gestiti, amministrati e diretti, senza interferenze da parte delle autorità libiche, esclusivamente da personale dell’ONU; ovvero, che i campi profughi vengano dislocati su altro territorio nazionale, in grado di garantire un minimo di rispetto dei Diritti Umani.

Cari amici, in veste di membri del C. I. R., nei giorni scorsi, abbiamo partecipato ad una riunione, illustrativa dei rapporti che intercorrono tra questo organismo ed i confinati nei luoghi di raccolta libici, vittime dei cosiddetti “respingimenti” ed in attesa di ricevere, se riconosciuti “profughi politici”, accoglienza in uno dei Paesi della Comunità Economica Europea, nonché informativa della condizione che contraddistingue, in materia, le relazioni tra il governo libico e quello italiano.

Ebbene, a consuntivo di questa riunione, è emerso, in modo netto e chiaro, uno stato di sostanziale “insofferenza”, per non dire addirittura “intolleranza”, relativa all’intero arco del fronte che connota le suddette “questioni”.

Infatti, i profughi colà confinati e sottoposti a violenze ed angherie di varia natura e specie, si trovano, proprio per queste ragioni, in uno stato di tale subordinazione fisica e psicologica che, ancorché timidamente interrogati dalle rappresentanze di tutela dei loro diritti (a loro volta costrette ad agire con grande accortezza e circospezione, onde non creare incidenti, per così dire, “diplomatici” fra Italia e Libia), li porta, addirittura, a negare d’avere avuto intenzione di chiedere asilo politico non ostante provengano da Stati in cui è loro negata ogni forma di democrazia, libertà e giustizia.

Abbiamo anche appreso che, a fronte di passi “formali”, effettuati direttamente con l’entourage del leader libico Gheddafi, in occasione del “G8” che si è tenuto nei mesi scorsi in Italia, è stato fatto chiaramente comprendere alle autorità italiane che, seppure visite ricognitive esterne ai campi, siano, di fatto, tollerate, ogni altro tipo d’indagine, tesa a verificare la “conduzione” dei campi, lo stato fisico-morale degli internati e la reale libertà d’esprimere la loro volontà, non sarebbe stato autorizzato.

Analogo tentativo, ovvero la possibilità di consentire ad una delegazione italiana, composta di deputati e senatori, di “visitare” i campi con piena autonomia d’indagine, effettuato attraverso i “reciproci” vertici parlamentari, è stato pure “bocciato”.

A questo punto, anche perché una tale situazione, rischia, non solo, di rendere sostanzialmente “inoperosa” e, quindi, del tutto inutile, ogni rappresentanza degli organismi internazionali preposta al controllo del rispetto dei Diritti Umani, ma anche di produrre, a fronte di eventuali iniziative sanzionatorie nei confronti della Libia, “ostaggi” di fatto nelle persone colà dislocate dalle rappresentanze, riteniamo che, sotto l’egida dei più alti organismi regolatori dei rapporti internazionali, O.N.U. in primis, debbano essere presi urgenti provvedimenti di rettifica di tale insostenibile ed inammissibile situazione.

Situazione che, altrimenti, stanti i diversi e molteplici interessi meramente commerciali che sovrintendono i rapporti Libia-Italia, come pure quelli di altre nazioni europee, non c’è da sperare venga rimossa attraverso responsabili atti sollecitativi.

Ragion per cui, se le nazioni europee, comunque coinvolte, quali potenziali “accoglitrici”, com’è loro dovere secondo la normativa internazionale, dei profughi provenienti da Paesi in cui la vita stessa del cittadino antagonista e dissenziente è messa regolarmente a rischio, intendono veramente svolgere un compito di tutela e salvaguardia del flusso dei migranti, intenzionati ad avvalersi dell’“Asilo politico”, occorre che, non solo, continuino a condannare, senza riserve, la politica dei “respingimenti”, magari irrogando sanzioni a chiunque perseveri in questa “pratica” di assoluta violenza, ma si facciano pure promotrici di azioni tese a garantire, a livello di O.N.U., l’extraterritorialità dei campi profughi, affidandone la conduzione e la sorveglianza ai “Caschi blu”.

Se questo non è possibile realizzarlo in tempi brevi, approfittando del fatto che la Libia, con il denunciare il fatto che nei campi dislocati sul suo territorio, deserto compreso, sono già ammassati circa tre milioni di profughi (circostanza che, tra l’altro, le consente di condizionare fortemente, sui fronti dell’economia e della perpetuazione di un sistema dittatoriale, l’atteggiamento delle nazioni democratiche), rimane certamente fattibile, in tempi adeguati, la ridislocazione di questa massa di profughi all’interno di centri di accoglienza alternativi, ubicati sul territorio di altre nazioni, certamente più “garantiste” della Libia, che si affacciano sul Mediterraneo.

 

Tratto dal documento della Lega Italiana

dei Diritti dell’Uomo Onlus:

Testimonianza

“Report 2008-2009”

Iniziative, documenti, prese di posizioni, deliberati,

lettere, ecc. in materia di diritti, nel biennio

curato da Gian Piero Calchetti e Sara Lorenzelli

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