LA FIGURA DEL GLADIATORE
All’inizio del III sec. a.C. i combattimenti gladiatori venivano strettamente associati ai sanniti, quando per “samnes” s’indicava una particolare armatura gladiatoria.In seguito furono introdotti altri tipi di categorie come quella dei Traci, importati da Silla, ed i Galli (successivamente denominati nelle categorie gladiatorie Mirmilloni) grazie a Giulio Cesare.
Fino alla fine del II sec. a.C. i termini “gladiatore” e “sannita” erano sinonimi. I Gladiatori (da gladio=corta spada) erano per lo più prigionieri di guerra, schiavi, liberti, criminali condannati a morte, ma anche uomini liberi che, attratti dalla possibilità di ingenti guadagni, decidevano di diventare Gladiatori (auctorati). Queste persone appartenevano al lanista (impresario), il quale traeva il proprio profitto affittandoli per gli spettacoli. Il prezzo variava secondo la qualità dei combattimenti e al grado di preparazione fisica richiesta.
L’editor s’impegnava inoltre al risarcimento di quei gladiatori che morivano nel combattimento.
Vivevano in apposite caserme, dove formavano delle familiae gladiatoriae, che oltre agli alloggi avevano una piccola arena per gli allenamenti svolti con i doctores (allenatori). A Roma esistevano quattro caserme: il Ludus Dacicus, il Ludus Gallicus, il Ludus Matutinus (dove risiedevano i venatores e i bestiararii, gladiatori specializzati nei combattimenti con animali) ed il Ludus Magnus le cui rovine, vicine al Colosseo, sono ancora oggi visibili.
La tradizione popolare e la cinematografia classica ci hanno rappresentato i combattimenti come qualcosa di estremamente cruento e dall’esito sempre mortale, ma la realtà doveva essere sicuramente ben diversa visti i costi sostenuti per mantenere e allenare i “morituri”, e ancor più per le spese sostenute dagli editores per offrirli al pubblico.E’ perciò probabile che la loro morte nell’arena non fosse così frequente, fatta eccezione per quei combattimenti denominati “munera sine missione”, che tradotto letteralmente significa appunto “senza grazia”.
Nei mosaici rappresentanti le pugnae (combattimenti) compaiono sovente scritti i soprannomi dei gladiatori, questo a significare l’attaccamento del pubblico durante tutta la carriera dei propri campioni. I più famosi arrivarono a combattere circa quaranta volte nell’arena. La loro prestanza fisica inoltre non sfuggiva alle nobildonne romane, meritandosi l’appellativo di suspiria puellarum. Un episodio che ben sintetizza il fanatismo dei sostenitori verso i propri idoli è dato dalla rissa che scoppiò nel 59 a. C. nell’anfiteatro di Pompei tra “tifosi” locali e nocerini. Gli incidenti iniziati durante un combattimento tra gladiatori, provocarono morti e feriti cosicché lo stadio fu squalificato per 10 anni.
Salvatore dott. Terranova - Noto
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