SCUOLA SCIENTIFICA TESLIANA DI NATUROPATIA OLISTICA

sognidoro

Sogni d’oro di Michele

Quello che più meravigliava Michele era il movimento di uno dei due spaccapietre: pareva che sui fianchi avesse una molla a scatto tanto era preciso ed energico il movimento del busto quando alzava la pesante mazza sul blocco della pietra.L’altro membruto, alto e magro con due occhi opachi nelle orbite ossute era più violento e disordinato: avventava colpi terribili o fiacchi, di volta in volta.Ma l’altro era preciso e solido: batteva con energia diritta e ostinata la venatura sanguigna, fino a sentire il rumore stanco della resa. Il blocco diviso in due riluceva con qualche cristallo nuovo ai raggi accecanti del sole di Luglio che lo vinceva e lo spegneva quasi subito.

Allora uno dei due, quello più piccolo, appoggiava in terra la testa della mazza e si tergeva il sudore grondante dalla fronte; si metteva la mano sulla barba rossa e rimaneva fermo a respirare profondo. L’altro con un gesto di stanca rabbia lasciava lo strumento, soffiava come un mulo all’abbeveratoio, passandosi nervosamente il dorso della mano sui baffi neri.Poi volgeva intorno gli occhi rotondi: sulla campagna fervida sotto il sole, sulla cava biancastra, sul greppo che inciso da un sentiero, sovrastava la cava.Non c’era anima viva e, spento il rumore dei colpi, s’udiva solo il lontano fluire del fiume che se ne andava al mare con assorta e uguale lentezza. Michele stava seduto su un blocco: adesso era fermo ma aveva avuto fino allora seguendo inconsciamente il lavoro di Marco, un moto in avanti ritmico come quello dello spaccapietre come fosse attirato anche lui dalla vena sanguigna che doveva aprirsi.

Ora s’era come destato; guardava Midio, quello scuro, che gli aveva puntato gli occhi addosso.Si sentiva avvolto da una zaffata di odio fisico che proveniva dallo sguardo.Midio raccolse una scaglia e la lanciò sul mucchio accanto a lui: - Hisc! Dammi da bere. Michele si alzò e andò a prendere la giara di creta che aveva messo in un angolo per ripararla dal sole.Quello bevve senza gusto, una due sorsate: - Sembra brodo, - e ne sputò un getto misto a saliva: l’acqua chiazzò per un istante la pietra poi il sole la bevve.

Midio raccolse gli umori del naso e della bocca con un grugnito profondo che gli scavò le guance, e scracchiò lontano.Poi ripiantò gli occhi addosso al ragazzo: - Ora torni a prendere l’acqua; tuo padre ha voluto risparmiare le tre lire della donna e fregatevi tu e lui. Ma io voglio acqua fresca -. Michele rimase immobile e l’altro riprese lentamente come cercasse parole odiose: era un odio animale per quel ragazzo mite, figlio del suo padrone, che ora doveva servire lui che era stanco e bruciato dal sole.

- Va’; hai dormito poco e ora hai sonno: glie lo potevi dire a tuo padre che ha tanti soldi che tre lire… io ci sputo sopra a tre lire, lui no.

Qui s’aderse sul busto e si lisciò i baffi spavaldamente: disse poi rivolto al compagno:

- Io, quando lavoravo in Germania guadagnavo cinquanta lire al giorno e tre lire le regalavo alla «froilaina» che mi serviva. Tu sai che cosa è una «froilaina»? – disse a Michele. – Neanche tuo padre che mangia nel pugno e tre lire le mette sotto al mattone, lo sa.

Michele lo sogguarda con occhi pesanti; ha sonno: ma si sente venire su dal ventre un terrore irresistibile: ha paura che Midio parli di sua madre. Ma quello si raccoglie un momento e gli dice: - In Germania ci sono le macchine che fanno i pettini: sai come si fa? Si mette un bue da una parte, si chiude. Si gira una manovella. Una volta, ed escono le salsicce; e due e escono le scarpe, e tre ed escono pettini.

Si arresta un momento: -Ma se ci mettono dentro tuo padre, escono tutti pettini-. Qui scoppia in una risata tutta appoggiata su un «uu» schiacciato, roco che empie la cava di una breve eco. Poi dice: - Non hai capito? E’ bella, raccontala a tua madre -. E ride ancora chiudendo gli occhi; con la bocca in aria per mandare nel cielo quella sua allegria feroce, come fanno i somari dopo aver odorato una pozzanghera.

Gli risponde dal ciglio che sovrasta, un raglio vero; leva gli occhi e vede un somaro carico di un sacco di grano, condotto per la cavezza da una contadina giovane e atticciata. Rifà un: «Hisc!» gutturale.Quella volta il viso rosso e stupido verso il basso e Midio le manda un lubrico gesto del braccio teso. La ragazza raccoglie un sasso e lo lancia con una ingiuria atroce come il gesto.Midio fa civetta e il sasso gli passa sibilando sulla testa. Ride ancora a bocca spalancata tenendosi i fianchi e indicando la donna al compagno.

Questi fuma quietamente immobile, senza un sorriso; il viso è assorto in un’assenza di pensiero quasi totale: ha appena un bagliore ironico negli occhi stretti per la luce.Poi batte la pipa su un sasso e se la caccia nella tasca dei calzoni: si sputa nelle mani, riprende la mazza e aggredisce un’altra pietra. Michele è andato a cercare acqua. Scesa la breve china per il viottolo argilloso cotto dal sole, ora è sul greto secco dell’ampio torrente.

I ciottoli levigati riposano sulla ghiaia colorata con l’intimità aderente di colombe alla cova; le ripe sono orlate di gramigna morta appena sostenuta dalla terra arida. Sulla piana a destra, campi di stoppie giallastre, qualche casa senza fumo: e lontano sulla collina, il villaggio con le case sparse come a formare un’enorme cresta di gallo avvolta in un tenue vapore immobile, salito dal fiume.Tutto il paesaggio ha un’aria d’innocenza povera e raccolta: il concerto delle cicale e degl’invisibili insetti non mette che una confusa vibrazione nell’atmosfera afona del meriggio.

Michele cammina lentamente benché abbia sete anche lui: ogni tanto, risalendo il greto, si ferma a guardare qualche rara pozza di acqua tersa che le correnti dell’Aprile hanno smarrito per via e che ora muoiono purificate dalla melma e bevute dalla terra. I laghetti fanno festa alla ghiaietta del fondo che la luce ingioiella.Michele si ferma a guardare gli scrigni liquidi e affonda la mano per raccogliere i sassolini gialli e rossi; ma quando li ha in mano si spengono. Il ragazzo conserva il più bello e rigetta gli altri nell’acqua che scorre per una via invisibile: forse si perde nella terra, nelle catacombe, pensa: le catacombe finiscono lì, si scava un buco, si cammina con una bussola e una lanterna e si arriva al mare: o a Roma.

Ma ad andare solo ha paura: ci va con la madre e si fermano prima sotto la cava: mettono una mina e Midio salta per aria e brucia col suo odore: l’odore forte che lo fa rabbrividire quando gli dice con le mani sulle spalle: - Dì a tua madre che mi mandi un po’ di quelle cose che sta facendo sopra.

E quella risata: -Ti faccio ridere io-.

La miccia l’accende veramente: quella della cava.Ruba un fiammifero a Marco e dà fuoco: poi lui scappa. E Midio per aria con quelle maledette grosse braccia piene di muscoli e di vene al vento.Smuove un sasso in un angolo del greto in cui è rimasta una pozza d’acqua: ci deve essere un granchio. C’è; e lo guarda immobile con la faccia da cane mastino.Michele raccoglie un ciottolo e lo lancia rabbioso: il granchio colpito s’appiattisce; ma lo fissa con gli occhi rivulsi che s’empiono di morte. Il ragazzo inorridisce e si mette a correre: quando arriva alla fontana è stanchissimo: mette le mani sull’orlo del piccolo bacino e beve a grandi sorsate avide.

La frescura gli scioglie l’affanno dello stomaco: si siede, cerca nella tasca il suo pezzo di pane; il suo pezzo di cacio. Mordicchia il cacio addenta il pane e mangia calmo e lento.Vede il greto scintillante e ode il brusio del fiume e degl’insetti: i succhi della gola rinfrescata addolciscono il cibo: da tutto il corpo partono linfe dolci verso il palato. Si sente protetto dall’ombra del sambuco sotto cui sgorga la fonte e gli piace quella grande festa fosforica dell’aria: l’azzurro è inondato di luce gialla e la terra senza succhi è addormentata.

Si sveglierà al tramonto con la prima frescura, riprenderà la via di casa dietro ai due minatori e avrà il loro stesso passo uguale e affaticato. Gli occhi si riapriranno grandi per accogliere la poca luce nella penombra della casa.Guarda le sue scarpe piene di polvere e le sue mani sudice: ha lavorato è cresciuto; lo dirà a sua madre. Ora nella cava vuol costruire una casa con le scaglie per vedere se la mina che accende Midio la fa crollare col rumore.

Se non avesse ucciso il granchio ci avrebbe messo dentro il granchio. Ma qui ode veramente un boato e il rumore di una rovina: ha un balzo: è il rumore della mina.

Passato il rumore, perdutasi l’eco nelle valli retrostanti, l’aria riprese il suo brusio avvampato e tranquillo. Le palpebre di Michele divenivano pesanti e gli occhi si socchiudevano: al di là della breve ombra disegnata dal sambuco il tripudio del sole filtrato dalle ciglia gli arrivava alle pupille con un bagliore colorato di azzurro e di arancio: un dormiveglia dolcissimo popolato di alberi e di fiori ondulanti nell’atmosfera brillante e sonora. Gli saliva su per le gambe fino al busto il ritmo del sangue più lento: un languore morbido in tutte le giunture che dava a tutto il suo corpo una sensazione di leggerezza piumata.

Quando si riscosse lo fece di soprassalto come colpito da un’angoscia improvvisa: si strofinò gli occhi affondò la giara nella vasca, e si avviò. Fece i primi passi rapidamente ma poi il sole lo riprese nelle sue braccia calde e gli mise addosso la stanchezza di prima.Procedeva lentamente con la giara appesa a due dita della destra; il vaso perdeva nel movimento un po’ della sua acqua.Michele le guardava in terra la ghiaia colorata e i ciottoli bianchi e la strada gli sembrava sconfinata: di sopra l’aria gli sembrava un fiume che scorresse sulla sua testa costringendolo a piegare le ginocchia.

Camminò ancora e imboccò come per caso il viottolo a sinistra che portava alla cava.Gli pareva di avere udito da quel lato una voce lontanissima che lo chiamava.Midio s’era messo infatti sull’orlo della terra slabbrata ingombra di sassi e lo chiamava chissà da quanto con le mani a imbuto davanti alla bocca.I due operai avevano, attendendolo, incominciato a mangiare: masticavano il pane e il cacio e bevevano qualche sorsata di vino tiepido, allappante, dalla fiasca di coccio: ma avevano la gola riarsa.Marco aveva finito e ora seduto su un sasso con un gomito su un ginocchio si sorreggeva la testa barbuta: attendeva con la solita calma attonita o non attendeva punto, tutto immerso nella sua stanchezza.

L’altro fumava iroso, scracchiava a getto la sua saliva nerastra sulle pietre; di tanto in tanto si alzava, arrivava all’orlo della cava e facendo solecchio con la destra, scrutava il greto assetato del torrente.Gli montava alla gola un’arsura frizzante che gli dava brevi colpi di tosse stizzosa. Allora bestemmiava e tentava di scuotere l’altro che non fiatava. Quando spuntò il ragazzo, vedendolo camminare con quella dondolante lentezza, s’era messo a chiamarlo per nome con una specie di ruggito: -Uhi! Michele!– Ma quello continuava quella curiosa danza da ubriaco.

Quando il ragazzo arrivò alla cava gli strappò la giara dalle mani e la portò alla bocca. Bevve un sorso: era calda, la sputò e diede con tutta la forza uno schiaffo a Michele.Il ragazzo che lo guardava trasognato si abbatté di schianto sui sassi. – Era broda, porca M…Marco si alzò lentamente e scosse il ragazzo; poi s’accorse del sangue che inondava le pietre e lo mise supino.

-E’ morto, -disse.

Midio guardò le orbite già buie del ragazzo e sentì che veramente era morto.Allora ebbe paura; gli occhi tondi si fecero mobili e sgomenti; s’arrampicò su per la pietraia e senza poter parlare alzò le braccia in alto. La donna di prima che ripassava conducendo l’asino per la cavezza, raccolse un sasso e glie lo lanciò; poi chiamò forte qualcuno dietro a lei; spuntarono due contadini che incominciarono a lanciare pietre dentro la cava contro i due che ora si paravano la testa con le mani. Tentavano di parlare ma quei di sopra ridevano a crepapelle vedendoli ballare così e raddoppiavano la furia: smisero solo quando li videro fuggire.

Francesco Jovine

Da:

R a c c o n t i,

casa ed. G. Einaudi,

finito di stampare il 14 ottobre 1967

dall'Officina Grafica Artigiana Panelli - TORINO

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