SCUOLA SCIENTIFICA TESLIANA DI NATUROPATIA OLISTICA

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Il decennio a cavallo fra gli anni trenta, e quaranta si presenta almeno in apparenza come una stagione di pausa per la letteratura italiana, un lungo intermezzo di inquietudini e attese.

La definitiva maturazione del fascismo in regime assoluto aveva creato condizioni anomale per la vita letteraria e culturale del paese: da una parte, si assisteva alla creazione di una grande macchina politica-culturale ufficiale, retta da istituzioni come l’Accademia d’Italia o il Sindacato scrittori, che prevedevano una sorta di irreggimentazione burocratica delle professioni intellettuali, dall’altra le esperienze più sincere e originali di ricerca letteraria si svolgevano in una dimensione di dialogo appartato e confidenziale fra scrittori.

 

Essi si scambiavano idee e pareri di persona, a voce, seduti ai tavoli dei caffè o ritrovandosi in piccoli gruppi all’ombra delle università: non ultimo per scampare ai controlli della censura e della stampa di regime, particolarmente vigili in centri vitali come Milano e Firenze .E’ segno dei tempi la nascita e il diffondersi dell’Ermetismo, fenomeno letterario che segnò maggiormente questa fase della poesia italiana.

Questo nuovo modo di poetare puntava alla concentrazione del discorso in una scrittura simbolica dai significati molteplici.

Il carattere peculiare della parola poetica, per gli ermetici, è il riferimento agli usi esoterici, magici e cabalistici del linguaggio, è la indecifrabilità, quella chiusura che distingue questo tipo di versificazione.

L’area ermetica accoglie scrittori tra loro molto diversi, fra cui i più rappresentativi sono i poeti Alfonso Gatto e Salvatore Quasimodo e i narratori Vasco Pratolini e Romano Bilenchi.

La data conclusiva dell’esperienza ermetica viene di solito indicata nel 1945, in coincidenza con la fine della guerra; ma si trattò, più che di una conclusione, di un mutamento del gusto dello stile compositivo.

Molti poeti ermetici approdarono a una poesia di forte impegno sociale, con l’adesione esplicita alla cultura marxista, uniformando il loro umanesimo poetico ai criteri ideologici e stilistici del nascente gusto neorealista.

Questi decenni effettivamente produssero nonostante tutto una tale varietà di fenomeni letterari; basti pensare che negli stessi anni in cui si afferma la poetica ermetica, si consuma l’esperienza rivoluzionaria del Futurismo, i tormentosi impeti moralistici della Voce, le ipotesi di ritorno all’ordine propugnata dai moderni classicisti del gruppo della Ronda.

In una conferenza tenuta alla Columbia University di New York nel 1959, Italo Calvino lamentava la difficoltà di costruire un discorso completo e organico sulla letteratura italiana Contemporanea.

Questa eterogeneità di esperienze che l’occhio acuto di Calvino coglieva, l’assenza cioè di un filone comune e unificante fu infatti uno dei tratti caratteristici di quel periodo, refrattario alle classificazioni, così come alle periodizzazioni troppo perentorie. Tratto comune però delle pur differenti correnti contemporanee era l’assidua ricerca di un contatto nuovo e rovinato con la realtà, dal quale in nessun modo avrebbe potuto prescindere qualsiasi tentativo di costruire una nuova cultura moderna.

La letteratura, infatti, non intendeva più barricarsi nella “torre d’avorio” di una retorica cristallina e atemporale, ma scendeva in campo nel tentativo di capire, comprendere la realtà circostante, pur sperimentando nuovi strumenti di conoscenza .

Finito il fascismo, che aveva coalizzato contro di sé la gran parte delle energie intellettuali, terminata la guerra, esaurita la carica vitale dei primi tempi della ricostruzione, gli scrittori italiani si ritrovarono in quegli anni privati di un punto di riferimento comune, tanto ideologico quanto culturale.

Vi era in tutti la convinzione che la letteratura dovesse cercare e ritrovare quel profondo rapporto con la vita e con la storia.

Già negli anni trenta si era avuta una forte ripresa della forma del romanzo che andò ad alimentare anche dopo la guerra delle più significative esperienze narrative dell’epoca, come quella di Pavese, di Fenoglio, di Vittorini ecc.

Quella che negli anni trenta si tradusse in una ripresa del romanzo rifletteva una nuova tendenza letteraria che al lirismo e alle raffinatezze retoriche degli scrittori vociani e rondisti voleva contrapporre una rappresentazione più asciutta ed analitica della condizione umana non in senso bozzettistico, era una già in qualche modo problematico; è in quest’ottica che va letto anche il rinnovato interesse che già in quel periodo si vide sorgere per l’opera di Verga.

Proprio in quegli anni, d’altronde, Gramsci auspicava il formarsi in Italia di una “ cultura nazional-popolare, intesa come una profonda identità di sentire tra popolo e scrittori, entrambi chiamati, a condividere la medesima “concezione del mondo” e lo stesso senso di responsabilità verso di esso.

Il bisogno di un rapporto diretto con la realtà umana, la ricerca di una lingua autentica e viva, il rifiuto dell’arte fine a se stessa e la volontà di impegno da parte degli intellettuali furono tutte istanze che diedero vita, nell’immediato dopoguerra, al variegato fenomeno del Neorealismo.

Gli intellettuali neorealisti auspicavano una letteratura che si misurasse con i problemi sul tappeto, quasi in una sorta di esame di coscienza collettivo.

Nella loro ottica serviva un’arte capace di rappresentare le questioni concretamente aperte nella società italiana.

Occorreva una letteratura pedagogica, capace di comunicare un messaggio di speranza e di rinnovamento, sociale ed etico, dell’umanità.

La letteratura neorealista, perciò, affrontò pochi; ma specifici campi tematici, specchio riflesso di quel preciso momento storico: la guerra combattuta al fronte, conseguente movimento della Resistenza partigiana e l’opera di “ricostruzione”, la triste condizione delle regioni del sud d’Italia, arretrate sul piano economico e sociale per colpa di ignoranza e disonestà dei politici, la vita del popolo, ritratta nelle varie realtà regionali.

L’autore molisano “Francesco Jovine appare emarginato nelle linee fondamentali della sua personalità narrativa dalle mode del suo tempo, dagli sperimentalismi di chi non ha ancora definito un suo ubi consistam espressivo e morale; e ciò avviene non già per ottusa indisponibilità a certo rinnovamento che pure risultò di notevole importanza nel quadro culturale degli anni medesimi della sua formazione, e neppure per programmatico rifiuto del nuovo e conseguente antistorica scelta d’una più o meno integrale restaurazione di assunti, toni, strutture letterarie di trascorsa efficacia, provincialmente assorbiti nell’ambito di un’educazione forzatamente conservatrice; ma soprattutto per un precoce appuntarsi della sua attenzione di uomo e di scrittore in possesso di una già chiara consapevolezza su un mondo che non costituiva soltanto un tema narrativo, ma anche e anzitutto un assunto morale.*"

Vincenza Dott.ssa CASILLO

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI «FEDERICO II»

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

CORSO DI LAUREA IN LETTERE MODERNE

ELABORATO DI LETTERATURA ITALIANA

Signora Ava (1942) di Francesco Jovine il Molise contadino e l’Unità d’Italia

ANNO ACCADEMICO 2012-2013

*E. Ragni, Jovine, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1975 pag 5

Immagine:morguefile

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