SCUOLA SCIENTIFICA TESLIANA DI NATUROPATIA OLISTICA

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BREVE STORIA DELLA TERAPIA CRANIOSACRALE

 

La terapia craniosacrale nasce da una costola dell’osteopatia(1), disciplina fondata negli Stati Uniti nel 1874 da Andrew Taylor Still, bizzarro medico americano, il quale ebbe non poche difficoltà a far accettare al mondo della medicina tradizionale del tempo la sua , per certi versi rivoluzionaria, concezione della salute. Come tutti i personaggi che hanno lasciato un impronta nella storia, era un uomo dai molteplici interessi, curioso e aperto a nuovi modi di interagire con la realtà esterna. Come medico, per esempio, era particolarmente interessato alle tecniche terapeutiche degli indiani d’America, i quali non operavano una distinzione così netta come quella dei medici occidentali tra spirito e materia, e che ritenevano che la salute dipendesse da un equilibrio con la natura. Questa concezione, secondo cui tutte le forme che assume la realtà esterna hanno un preciso significato simbolico legato alla funzione e allo scopo, ispirò la sua visione della salute, riassumibile nei tre principi fondamentali dell’osteopatia ( ma perfettamente applicabili anche oggi a qualunque visione olistica della salute):

1) Il corpo è un unità

2) Struttura e funzione sono interconnesse

3) Il corpo è dotato di un meccanismo di autoriparazione

Secondo Still, la salute dipende dall’equilibrio dinamico tra le varie strutture corporee e dal libero scorrimento dei fluidi, in quanto ogni restrizione o disfunzione a livello delle articolazioni, dei muscoli e dei tessuti, conduce alla malattia. Partendo dallo studio della anatomia e fisiologia dell’apparato muscolo scheletrico egli riteneva che tutte le relative restrizioni e disfunzioni potessero essere eliminate grazie a precise tecniche di manipolazione. Evidentemente, si tratta di una concezione che a molti, oggi, può sembrare troppo meccanicistica e legata solo all’aspetto materiale del sistema mente-corpo, ma che all’epoca ebbe un effetto dirompente sulla concezione tradizionale della medicina. Teniamo conto che l’inconscio e la psicoanalisi erano ancora di là da essere portati alla luce , che la fisica era una scienza ancora primitiva, che il ruolo delle emozioni, dei ricordi, dei sentimenti sulla nostra salute non era neanche preso in considerazione. In una tale situazione, affermare che il paziente poteva essere curato senza intervenire semplicemente sull’organo o sul tessuto malato, ma cercando di riportarlo in una condizione di equilibrio nella sua interezza,(andando ad agire magari su altre parti del corpo, apparentemente prive di disturbi e disfunzioni), era già un’eresia.

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Affermare che la salute e la funzionalità del corpo e delle sue singole parti possa essere condizionata dalla postura o da restrizioni del tessuto connettivo, era una assurdità. Ma avere il coraggio di affermare che la guarigione potesse venire, oltre che da Dio e dai medici, anche e specialmente da una non meglio identificata forza vitale di autoguarigione che ognuno di noi possiede, era veramente troppo . Still fu costretto per tutta la vita a sopportare la derisione e la diffidenza di gran parte della classe medica, il che non gli impedì di fondare una sua scuola e di avere molti pazienti soddisfatti e una schiera di sostenitori. Si dice che una volta fu sfidato a guarire una persona affetta da infezione da parassiti intestinali: i suoi colleghi , medici ortodossi, si chiedevano come una manipolazione di muscoli, ossa e articolazioni potesse avere qualche cosa a che fare con dei parassiti intestinali. Egli raccolse la sfida e , come potete immaginare, il paziente guarì perfettamente in breve tempo. A chi gli chiese come avesse fatto, egli rispose:

“Io non ho guarito il paziente da una infezione da parassiti intestinali con la manipolazione osteopatica, io l’ho solo aiutato a recuperare energia e vitalità: tutto il resto, l’ha fatto lui.”

Ecco comparire ancora una volta i concetti tipicamente naturopatici di energia e vitalità , che andremo ad approfondire , nel corso degli studi, anche nell’ottica della visione delle scienze moderne. Per ora basti sottolineare la profondità e vastità del concetto espresso con queste poche parole dal medico americano: la vera guarigione, se pur attivata dall’intervento del terapista, è un processo che si attiva grazie ad energie insite nella persona stessa del paziente, e che non possono essergli “ profuse” dall’esterno.

 

Tra i suoi allievi ,il giovane W. Sutherland era uno dei più curiosi e aperti: un giorno, osservando un cranio esploso, cioè un cranio in cui le singole ossa erano state separate, si accorse della strana struttura dell’osso temporale. Come è noto, il temporale (una delle prime ossa che si ossificano già alla sedicesima settimana di vita embrionale) è costituito, fondamentalmente, di una parte piatta, la squama, e dalla rocca petrosa. La prima deriva dalla dura madre, la seconda da cartilagine. Ebbene , la strana struttura del bordo esterno della squama gli fece venire il dubbio che essa non fosse in origine “saldata” a parietale e sfenoide, ma che potesse avere una certa libertà di movimento, come per consentire una sorta di respirazione ; in pratica intuì che potesse essere il residuo di quelle che erano le branchie del pesce poste proprio dietro gli occhi e la bocca, che svolgono appunto questa funzione. In effetti, se riflettiamo solo un attimo sul fatto che la vita è sorta nel mare, cioè nei fluidi, possiamo cogliere connessioni e analogie illuminanti.

 

1 Come la donna è nata, secondo la Genesi, da una costola dell’uomo, così la terapia craniosacrale è nata da una costola dell’osteopatia. Rispetto a quest’ultima, infatti, essa rappresenta il lato più dolce, accogliente, contenitivo, non violento, cioè il lato “femminile” della terapia corporea.

  • Tratto dal libro: Terapia Craniosacrale tradizionale di Guido A. Morina

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Il Reiki ad indirizzo teosofico di Helena Blavatsky

Il reiki che è illustrato nel presente manuale si ispira ai principi della società teosofica fondata da Elena Blavatsky nel 1875 a New York, ma il suo metodo è stato elaborato a seguito di un lungo processo di interpretazione dei testi esoterici della Blavatsky, i quali sono stati tradotti nella pratica del Reiki grazie all'opera di alcuni grandi maestri esoterici nel corso dello scorso secolo.

La società teosofica rappresentò, alla fine del 19º secolo, il movimento esoterico di riferimento per tutti coloro che, a livello internazionale, ricercavano una forma di sintesi, o di sincretismo, tra tutte le religioni, le scienze e le filosofie orientali e occidentali. Oggi questo straordinario obiettivo di crescita e di evoluzione culturale si manifesta nell'approccio scientifico definito ”consilienza", il quale propone la sintesi del significato di tutte le scienze, naturali e umane.

Negli ultimi decenni del 19º secolo iniziò il primo vero grande interesse della cultura occidentale nei confronti di quella orientale e Helena Blavatsky ebbe il grande merito di portare negli Stati Uniti e in Europa la conoscenza dei testi sacri orientali. La società teosofica può essere considerata il primo movimento New Age della storia, in quanto proclamava innanzitutto principi di condivisione, solidarietà e fratellanza universale, e si proponeva di approfondire e diffondere lo studio comparato delle religioni, filosofie e scienze umane e naturali nell'ottica nella ricerca del significato delle leggi della natura e del comportamento umano.

Negli anni ’30 del 20º secolo, alcuni membri della società teosofica italiana, tra cui l'ingegner Renzo Curti(1), si proposero l'ambizioso obiettivo di applicare ciò che gli studi condotti all'interno della società teosofica avevano elaborato fino a quel momento per costruire una disciplina pratica, fondata su un metodo di elevazione morale e spirituale alla portata di tutti, che consentisse di diffondere la conoscenza delle scienze esoteriche attraverso un approccio scientifico applicato ai rituali religiosi, alle arti marziali orientali e all’alchimia.

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Essi capirono che gli studi, i dibattiti e le dispute teoriche all'interno della società teosofica erano diventati sempre più appannaggio di una élite culturale e sociale (in contrasto con gli scopi originali della società) e cercarono quindi all'interno nella cultura dell'Estremo Oriente un metodo ispirato a quello delle arti marziali, il quale permettesse a chiunque di elevarsi culturalmente e spiritualmente attraverso l'applicazione di pratiche che costituissero un ponte tra la materialità e la meccanicità della scienza occidentale e la spiritualità orientale.

Lo trovarono nel Reiki, il quale aveva già proceduto a una sintesi dei principi e delle tecniche da utilizzare all'interno di una pratica spirituale universale, ma che mancava di un rigoroso approccio scientifico fondato sul significato simbolico degli strumenti, degli esercizi e delle tecniche utilizzate all'interno della pratica di questa disciplina.

Secondo i Maestri spirituali della Società teosofica, infatti, il reiki che si stava diffondendo agli inizi del secolo scorso in Giappone era troppo marcatamente condizionato dalla mentalità e dalla cultura religiosa dell’Estremo Oriente, al punto da rifiutare ogni interpretazione in termini scientifici dei rituali rigidi e dogmatici su cui si fondava.

Il reiki che essi intendevano diffondere anche in occidente avrebbe quindi dovuto rappresentare un metodo di crescita e di elevazione spirituale, e non un metodo terapeutico come quello proposto dal reiki tradizionale. Si consideri, infatti, che la società teosofica accoglieva principalmente scienziati (si pensi al medico antroposofico Rudolf Steiner, ai medici psicoanalisti Wilhelm Berger e Helmut Wertheimer) ossia intellettuali che applicavano i principi del metodo scientifico nello studio, nella analisi dei fenomeni nella realtà e nella loro pratica professionale. Essi non potevano che rifiutare una pratica che proponeva la cura di disturbi fisici e psichici tramite rituali religiosi, come è ancora oggi nel reiki tradizionale, senza neppure prendere in considerazione l'esistenza e l'influenza della ricerca medica, psicologica e scientifica in materia di guarigione.

Nel corso nella seconda metà del secolo scorso, quando le scienze mediche e psicologiche avevano già iniziato il loro poderoso processo di ricerca, di scoperte, di aggiornamento e di approfondimento secondo i principi e il metodo scientifico, l'opera dei maestri della società teosofica italiana proseguì attraverso il continuo perfezionamento del metodo del Reiki, da quel momento definito “metodo Blavatsky”, il quale si arricchì via via del contributo di psicologi, teologi, sociologi, medici, psichiatri, i quali condividevano il principio fondamentale secondo il quale simboli e rituali esoterici dovevano essere interpretati e applicati alla pratica spirituale non in quanto tali, ma come strumenti di risveglio della conoscenza e della consapevolezza del singolo individuo; sul presupposto che l’energia necessaria per avviare e sostenere il processo di crescita e di guarigione spirituale andasse ricercato nelle risorse interne dell’uomo, e non in forze soprannaturali alle quali sottomettersi passivamente.

A seguito di viaggi in India, a Ceylon (l’odierna Sri Lanka) e in Giappone, essi giunsero alla conclusione che coloro che avevano alle spalle una vita di studio e di applicazione alla ricerca nelle scienze esoteriche e di quelle naturali e umane avrebbero dovuto ispirarsi al principio morale della condivisione del sapere e iniziare alle scienze esoteriche il popolo.

Per fare ciò, come si diceva, era necessario che coloro che volevano avvicinarsi a questo percorso di crescita e di conoscenza e di consapevolezza venissero "iniziati" da un maestro spirituale, con l'idea che i migliori tra loro avrebbero potuto a loro volta acquisire le competenze e la qualifica di maestri in scienze esoteriche e diffondere così il metodo Blavatsky.

In comune con il metodo Usui, queste due forme di reiki hanno mantenuto il ricorso a protocolli e tecniche sotto forma di rituali, e il presupposto tipicamente esoterico della iniziazione alla pratica spirituale da parte di un maestro. A parte ciò, i due metodi differiscono in maniera molto netta, in quanto il metodo Blavatsky rifiuta di assecondare il richiamo suggestivo della superstizione e della religiosità applicata alla cura di disturbi fisici e psichici. A differenza del reiki commercialmente diffuso, perché facile e non impegnativo, esso si basa su un approccio scientifico all’uso di simboli e rituali e sulla consapevolezza e partecipazione attiva del singolo individuo al processo di guarigione spirituale, fondata sullo studio, il lavoro e la condivisione dei risultati.

1 E’ dagli appunti raccolti dall’Ing. Renzo Curti che sono tratti gran parte degli insegnamenti esoterici illustrati all’interno dei manuali di formazione al Reiki Blavatski.

  • Tratto dal libro "Manuale di Reiki I livello" di Davide Lamberti, Monica Bentivoglio

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Respirazione dell’”Om”

Di tutti i mantra, l’Om” è il più completo e viene definito il "suono" per eccellenza.

La sua pronuncia è formata da tre suoni combinati che creano all'incirca il suono delle lettere “AUM”. E’ molto difficile rendere un'idea precisa di tale suono, perché è solo ascoltandolo che se ne percepiscono sensazioni ed emozioni ad esso collegate. Poiché la visione simbolica della realtà permea di sé tutta la vita del mondo orientale, il numero tre, che si è visto caratterizzare le fasi del pranayama, si ritrova anche nell’Om, il quale è un suono “trino”, di cui la prima parte corrisponde al corpo materiale, allo stato di veglia, alla vita terrena; il secondo corrisponde all'anima, allo stato di sogno, al mondo intermedio delle manifestazioni; la parte finale si lega allo spirito, allo stato di sonno profondo, al mondo della trascendenza.

Si tratta della suddivisione in tre parti che è sempre stata adottata per descrivere l'unicità della vita umana, ossia quella costituita di corpo, mente e spirito.

Il mantra Om è uno dei tanti strumenti adottati nella cultura induista per assecondare il soddisfacimento di quel bisogno ossessivo-compulsivo di perfezione, di purificazione e di armonia con l'universo. Esso è quindi un suono che porta alla sintonia perfetta con la vibrazione cosmica. Come tutti i mantra, non è sufficiente pronunciarlo, ma occorre avere un animo religiosamente sottomesso e un amore incondizionato e cieco verso la totalità; solo in questo modo il suono potrà raggiungere i piani più elevati.

Così come, sul piano biochimico e materiale, gli esseri umani devono assorbire sostanze nutrienti che forniscono una energia “materiale”, ossia di sostegno ai processi fisiologici, così devono assorbire prana come energia altrettanto essenziale per la vita, ma rivolta al sostegno della vita mentale e spirituale. Si tratta della intuizione secondo la quale gli esseri umani non si nutrono esclusivamente di cibo in senso stretto, ma anche di emozioni, di affetti, di sentimenti, di idee, di pensieri e quindi di tutti gli stimoli con i quali entrano in relazione. Naturalmente, questa alimentazione in senso più ampio di quello strettamente biochimico può essere adottata in maniera razionale e scientifica, come descritto nei corsi dell'Università popolare che hanno per oggetto l'alimentazione psicosomatica.

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Data la cultura e il contesto storico, l'induismo non poteva che applicare questa intuizione alla pratica quotidiana se non attraverso strumenti perlopiù simbolici, e quindi sostanzialmente inutili dal punto di vista pratico. In altri termini, una cosa è “caricarsi” di energia costruendo una relazione con l'ambiente fatta di cultura, di apprendimento, di studio, di ricerca, di confronto tra differenti posizioni concettuali, di esperienze aventi per oggetto ogni aspetto della vita umana (attività fisica, sportiva, sessuale, sociale, coltivazione dell'interesse per l'arte, per la filosofia, per la scienza) e ben altra cosa è limitarsi a "caricarsi" di prana attraverso la recitazione di mantra, la meditazione e la respirazione.

L'esercizio che qui si descrive prevede che esso vada svolto a digiuno e indossando abiti molto comodi (riteniamo inutile, a questo punto, sottolineare via via gli aspetti simbolici di queste prescrizioni). La colonna vertebrale deve essere ben diritta in modo che il torace, il collo e la testa risultino bene in linea. La posizione ideale è quella del "fior di loto”, ma ognuno può assumere una posizione secondo le possibilità fisiche personali.

Si socchiudono gli occhi e si eseguono alcune respirazioni profonde inspirando dal naso, trattenendo l'aria per qualche secondo ed espirando dalla bocca con un pochino di forza, visualizzando contemporaneamente il colore azzurro e indirizzando i pensieri sull'amore altruistico.

Ora, mentalmente, oppure con la voce, si pronuncia il mantra “Om”. Questo suono deve coincidere con il respiro e deve simboleggiare il prana che entra nella mente e nel corpo dall'immenso serbatoio cosmico dell’universo.

A questo punto si espira più aria possibile e, occludendo con il dito pollice della mano destra la narice destra, si inspira dalla narice sinistra in un tempo di circa quattro secondi. E’ importante cercare di visualizzare di aspirare il prana e di inviarlo attraverso il lato sinistro del corpo, giù nella colonna vertebrale. Ora si trattiene l'aria inspirata per circa 16 secondi, mentre si pensa al prana che si diffonde in tutti gli organi e le cellule del corpo, come se fosse un gas di colore bianco lucente.

A questo punto si occlude con il dito mignolo la narice sinistra e si esala dalla destra l'aria immagazzinata. Si ripete nuovamente il ciclo, iniziando però l'inspirazione da quest'ultima narice (destra) mentre si pensa al mantra Om con il seguente accorgimento specifico: la A nell'inspirazione, la U nella ritenzione e la M nell’espirazione.

 Tratto dal libro: Manuale di pranoterapia di Davide Lamberti, Guido A. Morina

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La respirazione naturale e corretta

Per scoprire se la vostra respirazione è corretta, potete fare un piccolo test.

L’unico strumento richiesto sono le vostre mani e un posto dove sdraiarvi che non sia troppo morbido.

Una volta sdraiati mettetevi comodi per circa un minuto, in modo che il vostro respiro si normalizzi. Passato il minuto poggiate una mano in alto sul torace e l’altra sull’addome, dove finisce la gabbia toracica, proprio sopra l’ombelico.

Ora, continuando a respirare normalmente, senza fare sforzi di qualunque tipo, seguite il movimento delle vostre mani. Se si muove la mano posata sull’addome, state respirando correttamente, perché vuol dire che utilizzate il diaframma, il muscolo della respirazione su cui avete posato la mano. Se si muove l’altra mano, quella posta in alto sul torace, state facendo una respirazione di tipo toracico, e gli esercizi di respirazione miglioreranno di molto il vostro modo di respirare.

Imparare a respirare in maniera efficiente e profonda è facile.

La prima e unica regola che dobbiamo rispettare per imparare una nuova tecnica è metterci al lavoro e continuare finché non la padroneggiamo in maniera soddisfacente. Il perfezionamento avverrà col tempo. Mettete una mano sull’addome, proprio sopra l’ombelico, e quando respirate, fate salire e scendere la mano, regolarmente, senza fretta. Ci vogliono pochi minuti per capire quali muscoli utilizzare (il diaframma). L’esercizio è riuscito quando si muove solo il diaframma, la respirazione è addominale e la parte superiore del petto non si muove. In pochi minuti si dovrebbe sentire una differenza nella respirazione, più profonda, lenta e regolare.

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Ora che si è appreso il modo corretto di respirare, si può verificare se si respira sempre in questo modo, durante le normali attività quotidiane. L’ascolto del proprio corpo è fondamentale. Basta fermarsi ogni tanto e “ascoltare” il respiro. Se scorre come durante l’esercizio, si sta effettuando la respirazione corretta, altrimenti si è tornati a respirare con la parte alta del torace. In questo caso basta riprendere a respirare come durante l’esercizio. Dopo qualche giorno di questo addestramento la respirazione diaframmatica dovrebbe essere permanente.

Controllate ancora per qualche tempo, e poi fatelo ad intervalli molto lunghi. Alla fine dimenticherete di farlo, e avrete ottenuto una profonda respirazione diaframmatica.

Se ci si accorge che si è tornati a respirare con la parte alta del torace, ripetere l’esercizio base e il periodo di ascolto. E’ molto utile respirare con la mano sull’addome prima di addormentarsi: oltre ad essere un esercizio utile per la respirazione, favorisce il rilassamento e il sonno.

Se si ha difficoltà a coordinare i movimenti dell'addome con le fasi respiratorie, vi consigliamo di estendere l'addome in fuori e di contrarlo in dentro alcune volte senza respirare. Esercitatevi fino a quando estendere contrarre l'addome sarà facile, quasi automatico. Poi provate a coordinare questi movimenti con le fasi respiratorie senza eseguire le pause. Infine, quando avrete imparato anche questo, fate le corrette pause tra ogni movimento respiratorio.

Un altro metodo per facilitare l'apprendimento della respirazione terapeutica è quello di appoggiare una mano sull'addome. Durante l'espirazione spingete in dentro l'addome con la mano; durante l'inspirazione allentare la pressione della mano sull'addome.

Un terzo sistema per imparare con facilità la respirazione è il seguente: sdraiatevi sul letto senza cuscino, sollevate le gambe e appoggiate un libro sulla parte bassa del torace e sull'addome. Osservando il libro, riuscirete a controllare se state coordinando correttamente il movimento dell'addome con le fasi respiratorie. Infatti, durante l'espirazione il margine inferiore del libro deve inclinarsi verso il basso.

 

 Tratto dal libro: Manuale di pranoterapia di Davide Lamberti, Guido A. Morina

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La respirazione secondo il Pranayama

Il Prana non significa solo respirazione, ma il potere energetico e universale del cosmo. Colui che arriva a padroneggiare il Prana in se stesso, naturalmente possiede un grande controllo sull'attività dei suoi processi psichici. Questo è, in effetti, il significato analogico e simbolico delle tecniche di respirazione, applicato secondo i principi delle neuroscienze: il portare attenzione e consapevolezza su di sé, sulla propria interiorità, sulle proprie emozioni e sui propri pensieri aiuta a migliorare la qualità della vita psichica.

Questo principio era noto a tutte le discipline indù, le quali hanno sempre insistito sulla necessità di controllare l'attività mentale, anche se gli strumenti che hanno utilizzato, condizionati dal tipo di cultura e di ambiente nel quale si sono sviluppate, si riducevano sostanzialmente all'esecuzione di specifici rituali anziché alla ricerca del funzionamento effettivo dell’attività psichica. In particolare, lo yoga insiste su una tecnica fondamentalmente di rilassamento quale la meditazione attribuendo ad essa qualità che non possiede, ossia specificamente quella di poter connettere la mente del singolo individuo con l'energia universale.

La disciplina del respiro, il pranayama, viene realizzata attraverso esercizi respiratori. La comunicazione con la dimensione cosmica si realizza con il sistema aperto delle due nadi fondamentali, Ida e Pingala: Ida, polarizzata negativamente, si apre nella narice sinistra; Pingala, polarizzata positivamente, si apre sulla narice destra. I diversi chakra concorrono alla distribuzione del prana. Questa risulta perfetta (ricordiamo che il perfezionismo - insieme con il tratto ossessivocompulsivo di personalità - è una delle caratteristiche fondamentali delle discipline religiose orientali) se le Nadi non contengono impurità (come si è già accennato, il tratto ossessivo-compulsivo di personalità si esprime specialmente nell’accanimento ininterrotto, per ogni aspetto della vita, nel combattere l'impurità attraverso rituali e tecniche più o meno invasive di purificazione.

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Questo tratto ossessivo-compulsivo è lo stesso che caratterizza anche le scienze mediche occidentali - con il vantaggio che esse utilizzano una analisi della realtà e strumenti di cura più affidabili - le quali sono votate, come una vera e propria forma di missione laica, a combattere il male in ogni sua forma si manifesti, e restano disinteressate alla promozione della salute del benessere).

Nel pranayama la prima cura dello yogi è quindi quella di fare delle respirazioni alternate, che hanno come scopo la purificazione delle nadi e la ricerca dell'equilibrio delle correnti positive (Ha) e negative (Tha). Sul piano fisiologico gli esercizi respiratori del pranayama erano ritenuti sufficienti per condurre l'intero organismo verso il tanto agognato “equilibrio”. Secondo Vivekamanda, “ La respirazione ritmata comunica a tutte le molecole del corpo una tendenza a muoversi nello stesso senso; con la pratica il corpo diventa un gigantesco accumulatore di volontà”.

Naturalmente, insistiamo ancora una volta nel far osservare come tutte queste affermazioni, risalenti a una saggezza necessariamente limitata dalle conoscenze di un popolo che viveva alcune migliaia di anni fa, debbono essere intese in senso analogico e simbolico: nessuno può davvero pensare che le molecole di un qualsiasi organismo possano davvero muoversi tutte nella stessa direzione.

L'affermazione va quindi intesa secondo un significato non letterale, il quale rimanda alla opportunità che tutto il sistema psicofisico dell'individuo sia in salute,  oggetto di attenzioni e di consapevolezza e rivolto alla realizzazione di un programma di vita coerente di ricerca di obiettivi positivi, secondo una strategia che sarà tanto più efficace quanto più tutte le risorse (le "molecole" di cui sopra) siano armonizzate e finalizzate nella stessa direzione.

Tecnicamente, la respirazione viene insegnata nel pranayama come un processo unico, ma distinto in tre fasi: inspirazione, ritenzione, espirazione. Di norma ogni esercizio respiratorio viene ripetuto 10 volte, senza superare questo limite (simbolico, non letterale!) perché si possono presentare fenomeni di vertigini dovuti ad iperventilazione.

Spesso all'esercizio respiratorio si accompagna una meditazione nella fase di ritenzione. La più immediata ha per oggetto il passaggio dell'aria nei condotti nasali: la persona viene invitata ad immaginare che con l'aria introduce forza ed energia, distribuita nel proprio corpo nella fase di ritenzione, e che con l'espirazione espelle debolezza.

Tratto dal libro: Manuale di pranoterapia di Davide Lamberti, Guido A. Morina

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