SCUOLA SCIENTIFICA TESLIANA DI NATUROPATIA OLISTICA

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“Depenalizzazione” del reato di omosessualità

 

Anno 2008_23 Dicembre


Con specifico e preciso riferimento ad una pesante ed inaccorta ”uscita” di Benedetto XVI sui transessuali, effettuata la vigilia di Natale, uscita che testimonia, ogni volta di più, quanto sia intollerante ed omofobica la Chiesa di Roma, che pure nel suo seno ”alberga”, a volte del tutto ignara, a volte complice, in quanto stenta a prenderne atto ed a reprimerli, comportamenti, per così dire, “deviati”, di cui sono spesso vittime minori affidati al suo magistero, la LIDU, il 23 Dicembre, prende posizione, attraverso un “veemente” comunicato stampa, non privo di sana ironia, che, oltretutto, profittando, appunto, dell’improvvida “allocuzione” del “successore” di Pietro, scende a trattare della condizione sessuale “diversa” di molti uomini, dichiarandone la liceità, nonché delle problematiche relative all’astinenza, alla contraccezione, al preservativo, etc.


Con questo comunicato, la LIDU, si riallaccia ad un’analoga presa di posizione del 2 Dicembre, che pure riportiamo in premessa, relativa alla pertinacia con cui, al cospetto di Stati confessionali che condannano a morte gli omosessuali, la Chiesa di Roma continua a vituperare, senza riserve, questi nostri fratelli, al punto di criticare pesantemente addirittura il Presidente francese Sarkozy, perché questi, guadagnato l’appoggio di ben cinquanta Stati sovrani, aderenti all’ONU, si è permesso di proporre al mondo la “depenalizzazione” del reato di omosessualità.

 

[Comunicato 1]

Ma cosa mai pretende questo Papa dagli uomini?

Con la sicumera di chi, per atto di fede e non già attraverso il rigore di un’analisi scientifica umanamente e matematicamente riscontrabile, chiede all’uomo di uniformare la propria condotta, come essere “derivato”, ad una volontà suprema di cui si ignora l’esistenza, professa, forse senza neppure accorgersene, un darwinismo di regresso, riportandolo ad un’animalità originaria da cui, per millenni e millenni, ha cercato d’emanciparsi, migliorarsi ed evolvere verso traguardi di vita più consoni ad un “figlio di Dio”.
Non può essere altrimenti se, invece di accettare che l’uomo, come, tra l’altro, recita la Dichiarazione d’Indipendenza degli stati Uniti d’America del 4 Luglio 1776 (capoverso n°2), abbia diritto a ricercare, nel corso della propria vita, anche la felicità (happiness), lo condanna all’astinenza assoluta fuori dal matrimonio, al rischio di contrarre, negandogli il preservativo, gravissime infezioni, a dover procreare comunque e sempre, osteggiando, senza riserve, la pillola contraccettiva quale sicuro “antemurale” dell’aborto.

 

 

Così come gli impone l’esclusiva pratica della sessualità (naturale?) tra maschio e femmina, mentre pronuncia anatemi e crucifige! apodittici su transessualità ed omosessualità, riconducendo di fatto, i valori della vita esclusivamente all’ora et labora di benedettina memoria. Senza null’altro, insomma, che sia di conforto alternativo all’esistenza umana perinde ac cadaver, come, dopo l’asserzione francescana, affermò, perentoriamente, per i Gesuiti, Ignazio di Loyola.
Se non si trattasse di cose assai serie, ci verrebbe persino da sorridere pensando alle affinità che, in questo senso, connotano il surrogato di vita che la società moderna assegna alle classi meno abbienti che, in Italia, ad esempio, si connotano quali percipienti, al massimo, da 1000/1500 euro al mese per famiglia, magari anche con figli, trascorrendo un’esistenza d’irrinunciabili “privilegi”, quali quelli di potersi alzare in forze al mattino per andare a lavorare, riuscire a nutrirsi appena a sufficienza per sopravvivere, riposare la notte e così via, appunto, perinde ac cadaver.
Ma è questa una vita od una semplice, triste parvenza d’esistere a cui i “lavoratori” sono irrimediabilmente condannati?
Questo è il loro esclusivo dovere?

Dove mai stanno i conseguenti diritti, cui, specularmente, faceva, invece, riferimento Mazzini, a potersi emancipare ed a perseguire il benessere e la felicità?

 

E poi, se guardiamo bene alle cose, l’unica ad essere pateticamente in contraddizione rispetto al “volere superno”, è proprio la Chiesa cattolica.
È certo, infatti, che i preti, nella stragrande maggioranza, oltre ad essere sostanzialmente mantenuti, senza veramente produrre, dallo Stato laico e dalla carità dei fedeli (la stessa destinazione dell’8 per mille - vedasi “La Stampa” di Torino - invece che ad opere di bene, come pubblicizzato anche attraverso gli schermi della tv, se ne va, soprattutto, in stipendi per il clero e
per spese di culto), sono gli unici (almeno quelli che praticano l’astinenza) veramente in contraddizione con il postulato del Signore che, secondo Genesi (I, 28), sembra abbia detto ad Adamo “crescete e moltiplicatevi”.
Cosa mai vuole, dunque, Benedetto XVI, quando, dopo aver più volte straparlato contro l’omosessualità, quasi l’uomo non avesse diritto di godere, come vuole, della propria sessualità, alla vigilia di Natale, pontifica anche contro i transessuali, come se il cosiddetto Signore ed i suoi “controllori di prodotto”, quando il transessuale credente, dopo aver vissuto, come meglio ha potuto, su questa terra sostanzialmente omofobica, nella speranza di poter almeno godere della gloria e della pace eterna nell’alto dei cieli, si presenta, fiducioso, al loro eminente cospetto, gli facciano tirare giù le mutandine per verificare se tutto è a posto rispetto al momento della “creazione”; ovvero se un “pistolino”, più o meno ben riuscito, è diventato una “fessurina”, più o meno ben riuscita, e viceversa?

Per verificare e magari condannarlo alla “Gehenna”, se il suo “attributo” originario è stato usato in modo improprio o se non è ancora esattamente nel posto e nella forma, a suo tempo, assegnatigli. Per controllare, in sovrappiù, anche il suo “pertugio”, magari infischiandosene di accertare se questa persona, per così dire, “diversamente abile”, ha compiuto buone azioni, è stata onesta, ha fatto del bene o del male al suo partner ed agli altri, rendendo migliore o peggiore la vita del prossimo. Perché mai, poi, se gli errori della natura (perché anche il Signore, se esiste un Signore che ci crea, invece dei genitori, può sbagliare), possono essere corretti, in questo campo specifico è, invece, proibito, se necessario, effettuare rettifiche, onde poter effettivamente godere dell’unica pulsione che, per chi ci crede, è in grado d’anticiparci le delizie del Paradiso.
S’informi il Papa, non abbia troppi pudori, s’informi!, così potrà constatare quanto, anche fisicamente, a parte la dimensione, il sesso possa, talvolta, essere “inespresso” al punto da non poter assolvere alcuna naturale funzione.
S’informi anche presso qualche maieuta, così potrà sapere quanto, a volte, è difficile, attribuire ad un neonato la “specifica” di maschio o di femmina.

E questo, solo per rimanere in materia di attribuzioni fisiche, tralasciando, del tutto, la complessità dei processi di natura prettamente psicologica o psicanalitica induttivi alla sessualità, senza che, ogni diversità, debba essere identificata come patologia da contenere, se non addirittura da curare.
Comunque, a prescindere da ogni equivoco d’attribuzione, ognuno è ciò che si sente.
E se un individuo si sente uomo o donna, perché non deve essere aiutato, purché venga salvaguardata l’“integrità” dei minori, a vivere meglio questa sua identità, invece di condannarlo all’astinenza, o, peggio, al martirio?
Ce lo spieghi, per favore, Papa Ratzinger!
A nostro modesto parere, la Chiesa e lo Stato non hanno bisogno d’eroi, bensì di gente comune, soprattutto onesta, invece, di ladroni, imbroglioni e concussori cui, a volte, senza un minimo di riserva, anche le più alte gerarchie della Chiesa non disdegnano dare udienza e prestare ossequio.

[Comunicato 2]
Ha dell’incredibile ciò che sta avvenendo in questi giorni sul fronte del Vaticano.
Ha dell’incredibile e forse, per certi versi, addirittura dello “schizofrenico”.
Mentre da una parte, infatti, ci si arrampica sugli specchi per cercare di dimostrare l’indimostrabile, ovvero che interrompere l’alimentazione forzata ad un malato in stato di coma irreversibile da anni ed anni, equivale a compiere una vera e propria Eutanasia, dall’altro, invece, non ci si scandalizza se gli omosessuali, in qualche parte del mondo, vengono messi a morte.
Perché diciamo questo?

Diciamo questo perché mentre, con il consenso
di almeno cinquanta Stati, fra i circa duecento che aderiscono all’ONU, il Presidente francese Sarkozy, lancia, al mondo, la più che meritevole proposta di “depenalizzare” l’omosessualità, il Vaticano, sempre in prima linea in questioni che attengono il diritto positivo e le laiche potestà degli Stati sovrani, insorge chiedendo, attraverso ambigui “linguaggi”, che, invece, l’omosessualità deve rimanere un reato penalmente perseguibile.
E questo, senza apparentemente avvedersi che, nel contesto di circa un centinaio di Stati che comminano, più o meno pesanti condanne, a chi si rivela omosessuale, condizione naturale per la quale, in base ai Diritti Fondamentali dell’Uomo, ognuno è padrone di disporre della propria sessualità, purché la eserciti con persone consenzienti che non siano minorenni, ce ne sono almeno due, l’Iran ed il Pakistan, che, addirittura li impiccano sulle pubbliche piazze, al cospetto del popolo, magari anche appesi ai bracci delle gru, in modo che, “issati” il più in alto possibile, tutti possano ben vederli.

Ebbene, questa vicenda, in cui ancora una volta, la Chiesa di Roma, confondendo questioni relative al cosiddetto “foro interno”, ovvero alla coscienza ed alle tendenze personali ed insindacabili di ciascun cittadino, con questioni pertinenti il diritto positivo, in quanto afferenti ad atti e comportamenti relativi al vivere civile delle persone, entra pesantemente con tutti e due i piedi nel campo e nelle specifiche potestà dello Stato sovrano.
Al cospetto di quest’ultima, infelice, presa di posizione, sembra proprio che, in Vaticano, abbiano dimenticato l’intrinseco significato della famosa frase di Gesù di Nazareth, pronunciata in risposta a chi, subdolamente, a Gerusalemme, gli domandava a chi dovessero obbedire gli Israeliti: a Roma od al Signore?
Non fu certo, un’uscita, per così dire, “furbesca” quella del Cristo, bensì densa di profondo significato, quando affermò che il popolo d’Israele doveva a Cesare quello che era di Cesare, ovvero il tributo e l’obbedienza alle leggi che regolavano, dal punto di vista civile, lo stato romano, ed a Dio quello che era di Dio, ovvero, nell’interscambio di potestà e di valori con la religione, un comportamento consono alle Scritture.

Comportamento cui avrebbero corrisposto due condizioni di status, separate ed autonome (quella di buon cittadino e quella di buon credente), da cui far discendere, alternativamente: il merito od il demerito nella vita di
relazione; il merito od il demerito in funzione dell’“Aldilà”, per chi crede.
Un peccato, secondo i “Codici dello Spirito”, tralasciando gli orrori della Santa Inquisizione, non implica, almeno in tempi moderni, la condanna ad una pena fisica.

Tratto dal documento della Lega Italiana
dei Diritti dell’Uomo Onlus:
Testimonianza
“Report 2008-2009”
Iniziative, documenti, prese di posizioni, deliberati,
lettere, ecc. in materia di diritti, nel biennio
curato da Gian Piero Calchetti e Sara Lorenzelli
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