SCUOLA SCIENTIFICA TESLIANA DI NATUROPATIA OLISTICA

copertina-liduAnno 2008_01 Ottobre


“Gli Italiani sono o non sono Razzisti?”

 

con questo interrogativo si apre, il 1° Ottobre, un’analisi, fatta pervenire alla stampa, in merito al “dato per scontato” giudizio circa il fatto che il popolo italiano aborre ogni discriminazione razziale.
Analisi che, invece, in base ad alcuni fatti di cronaca di cui si rendono, purtroppo, talvolta protagoniste anche le forze dell’ordine, nonché ampie fasce della popolazione, soprattutto di connotazione politica nord-leghista, emerge che il “Bel Paese” non è affatto alieno da forme, più o meno dissimulate di “vero” razzismo.
Come si evince dalle valutazioni fatte dalla LIDU (che, di seguito, vengono, per intero, riferite), inoltre, il fenomeno, da condannare, senza riserve, sempre e comunque, tende sciaguratamente ad incrementarsi man mano che aumenta l’afflusso degli immigrati.

C’è un tema, su cui, innanzi tutto, in queste ultime due settimane, ci sentiamo istituzionalmente chiamati a confrontarci.

Il tema riguarda le problematiche del razzismo nel nostro Paese; tematiche del tutto da escludere secondo l’autorevole scrittore Bevilacqua che, appena ieri, ha rilasciato, al riguardo, una dichiarazione alla stampa.

Non siamo assolutamente d’accordo, né con lui né con tanti altri “benpensanti” che sembrano voler piuttosto esorcizzare, con affermazioni apodittiche, un fenomeno che, invece, man mano che la presenza di extracomunitari, ma anche di comunitari recentemente acquisiti e provenienti dai paesi dell’Est, si fa sempre più ingombrante ed evidente, si rivela nella sua oggettiva e proterva diffusione.

 

Quando le cose non ci toccano direttamente e se ne ragiona in modo, per così dire, intellettualistico, è facile, anzi estremamente facile, ritenersi immuni da certi difetti che, in passato, ma anche nel presente, hanno connotato e connotano le realtà di altri stati ben altrimenti pervasi da comunità, per così dire, “spurie” od alquanto “ingombranti”.
Con la recente riscoperta e rivalutazione (a parte le personalissime opinioni di Fini che ha definito, anche per le leggi razziali, il Fascismo quale male assoluto), dei “fastigi” del ventennio, avremmo voluto vedere se, in Italia, si sarebbe potuto candidare alla massima carica di governo e di stato un tipo alla Barack Obama.
Per renderci conto di quanto anche gli “Italiani brava gente” (titolo di un famoso film postneorealistico di Giuseppe De Santis, risalente alla fine degli anni ’60, teso ad evidenziare quanto i soldati italiani durante la campagna di Russia seppero ben distinguersi dai camerati tedeschi; tema, per altro, ripreso, con dovizia di particolari, dal generale Inaudi, prima, maggiore sul fronte del Don, infine, ufficiale di massimo grado presso la Nato), possano comportarsi da razzisti, basta enucleare anche solo tre recenti episodi.

 

Innanzi tutto, l’uccisione (Volontaria? Preterintenzionale? Comunque conseguente ad atti di efferata violenza) di cui è rimasto vittima, appena un mese fa, in quel di Milano, un giovane italiano di colore, reo di aver sottratto ad un bar, gestito da pregiudicati, qualche biscotto senza pagare.

Che, nella fattispecie, a prescindere dall’opinione del sostituto procuratore, che ha rinviato a giudizio i rei senza l’aggravante del “razzismo”, si sia trattato di una violenta “bastonatura” effettuato con una spranga di ferro e con intenti razziali, sta a dimostrarlo, secondo le testimonianze riportate dai mass media, il fatto che l’aggressione è stata accompagnata da reiterate allocuzioni quali “sporco negro” et similia.
In proposito, ci sia consentito dissentire dalla decisione del magistrato, perché, a nostro parere, se possono esserci dubbi sulla volontà di uccidere (gridare “ti ammazzo” in circostanze di esasperato ”confronto” con persona verso la quale si nutre un astio tale da scendere a vie di fatto, non testimonia l’intenzione di farlo veramente; al riguardo, una “nutrita” giurisprudenza fa scuola), mentre non c’è alcun dubbio in merito all’aggravante di razzismo quando si chiama “sporco negro, etc.” un consimile.

 

Ha perfettamente ragione Mario Pirani che, su “La Repubblica” di qualche giorno fa, per significare un certo clima comportamentale, diventato d’uso comune nell’ambiente meneghino, riporta un modo di dire della gens padana a giustificazione degli atteggiamenti discriminatori verso il “diverso” di diverso colore:

 

  • “non è vero che io sia razzista è lui che è negro.”

 

Se non si trattasse di un fatto grave e tragico al contempo, ci verrebbe da sorridere perché questo modo di dire è perfettamente assimilabile al “fare” di un personaggio del teatro dialettale lombardo, ovvero, un certo “Tecoppa” che, impegnato in un duello alla spada, si lamentava che l’avversario non stesse fermo per farsi infilzare.
Il secondo episodio, appena di ieri, è avvenuto sempre in Padania, a Parma.
Un giovane (di cui omettiamo volutamente il nome), in attesa dell’inizio delle lezioni presso una scuola serale, che frequenta per meglio integrarsi nella società emiliana più opulenta e “godereccia” che ci sia, scambiato per un pusher viene arrestato, trascinato in caserma dai vigili urbani e sonoramente malmenato, al punto da uscirne claudicante e con un occhio gonfio e tumefatto.
Di più, nella busta con cui gli vengono restituiti i cosiddetti “effetti personali”, chi di dovere, mette solo, in stampatello e a caratteri cubitali, il nome e l’appellativo di “NEGRO”.

A nostro parere è da ritenere più razzistica questa scritta che la “serqua” di botte a cui il malcapitato studente di colore pare sia stato sottoposto.
Di più ancora: alla luce di questo episodio che valutiamo gravissimo, a prescindere dalle malaccorte giustificazioni del comandante dei vigili, che, forse, per spirito di corpo, avrebbe attribuito le lesioni patite dal giovane ad una situazione “concitata” determinatasi in caserma (forse una zuffa, “innescata” da atti di resistenza, cui, confessiamo di non credere; così come non crediamo che si sia procurato la leggera “zoppia” nel tentativo di sfuggire alla cattura), ed alla luce di altri episodi consimili, non occasionali, né tantomeno sporadici (se avessimo risorse da spendere, ci piacerebbe istituire una specifica borsa di studio, acciocché qualche valido studente effettuasse uno screening dettagliato sul numero di fatti parimenti gravi assurti all’onore – si fa per dire – della cronaca, negli ultimi anni in Italia), ci viene da pensare che le forze dell’ordine, talvolta, si facciano prendere la mano e si abbandonino a comportamenti non certo rispondenti ad una corretta deontologia professionale (i fatti di Genova ai tempi del G8 sono emblematici al riguardo), specie nei confronti delle persone più inermi.
Cosa per cui, se la cosa dovesse servire a garantire migliore e maggiore tutela per le persone che, via via, risultano vittime di abusi della più diversa fattispecie da parte delle forze dell’ordine, non escluderemmo (la questione è, in verità, all’ordine del giorno del nostro Consiglio) di doverci costituire parte civile.
L’ultimo episodio riguarda la questione di Pianura, quartiere oltremodo degradato di Napoli, dove, da anni, convivono (è un eufemismo), gli uni accanto agli altri, Napoletani e gente di colore.

D’improvviso, qualche giorno fa, sentendosi discriminati dall’amministrazione cittadina perché il quartiere, a differenza di altri più fortunati, è letteralmente abbandonato a sé stesso ed all’incuria, in termini di mancanza di infrastrutture e di servizi, la parte bianca della popolazione, alla ricerca esasperata dell’untore, cui attribuire ogni colpa, a pensato bene di prendersela con quella meno fortunata, ovvero con quella di colore, aggredendola e malmenandola mentre, in corteo, manifestava contro il razzismo.
Questo spiacevolissimo evento, nel corso del quale, tra gli altri, pure un giornalista è rimasto contuso, non solo costituisce, una volta di più, la prova lampante di quanto, come, ai margini di un suo quadro famoso, scrisse Francisco Goya “il sonno della ragione genera mostri”, ma è anche il sintomo di una società alla deriva.
Società che, passo dopo passo, scende inesorabilmente verso una china in cui, alla fine, non c’è neppure la mallevadoria dell’impegno politico a salvaguardare almeno la speranza di recuperare dignità e diritti vilipesi o negati, bensì l’inevitabile approdo ad una “guerra” fratricida tra i più disperati e tra i più poveri, classiche vittime di un sistema completamente da rifondare.

Tratto dal documento della Lega Italiana
dei Diritti dell’Uomo Onlus:
Testimonianza
“Report 2008-2009”
Iniziative, documenti, prese di posizioni, deliberati,
lettere, ecc. in materia di diritti, nel biennio
curato da Gian Piero Calchetti e Sara Lorenzelli
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