SCUOLA SCIENTIFICA TESLIANA DI NATUROPATIA OLISTICA

burundi

BURUNDI

Domenica, 17.09.1995

Sveglia alle 5,30, appuntamento al refettorio alle 6,15 con Padre Modesto Todeschi e Suor Anita Falappi, padre Saveriano il primo e suora Benedettina della provvidenza la seconda.
Facciamo colazione, la suora mi fa portare una bottiglia di acqua ed un grosso limone per il “viaggio”, la buona Luciana Gianesin mi fa nascondere la videocamera e macchina fotografica in una borsa di tela di nailon, tipo sporta della spesa, subito dopo si parte con la “Panda” di P. Modesto in direzione delle colline.
Appena ci si allontana dal centro, la strada che porta verso le colline è dritta e pianeggiante, era città, una volta, ora è tutto un susseguirsi di rovine: case bruciate, muri scentrati, tutt’attorno sembra un deserto, qui i soldati Tutsi hanno ripulito la zona degli Hutu; ora qui non c’è rimasto proprio più nessuno.

 

 

Al “barrage” posto alla fine della zona “abitata” il soldato che viene ad abbassare la solita corda (a cui sono appesi degli stracci per renderla visibile) che, legata fra due grossi bidoni da 200 litri arrugginiti, fa da “barra”, sentito che il Padre sta andando a celebrare la messa, gli chiede di celebrarla anche per lui (a tavola, la sera, P. Modesto mi dirà che il suo sguardo era sincero).

Superato il “barrage” la strada è deserta, qualche chilometro più avanti due figure che camminano sul bordo dell’asfalto, appena scorgono la macchina in lontananza spariscono in un viottolo perpendicolare, dal lato delle colline; il Padre e la Suora temono la possibilità di un agguato, per fortuna non succede niente.
Qualche chilometro più avanti ci ferma una pattuglia di soldati a piedi, alcuni di loro hanno l’aria insofferente, ci perquisiscono sommariamente i bagagli, poi quello che sembra il capo chiede a Padre Modesto come mai è passato più volte negli ultimi giorni, dopo qualche minuto, anche se titubante, ci lascia andare, poco lontano, atteso che la pattuglia sparisse alla vista, giriamo a destra su una pista dalla terra rossa come il fuoco, proseguiamo per qualche chilometro, anche lungo le piste si vedono case bruciate e semidistrutte, per il solito effetto “pulizia”, dietro una curva coperta da una folta vegetazione di banani, il P. Modesto ci indica il punto dove giovedì, fucili alla mano, lo hanno rapinato dei soldi che aveva addosso, li ha riconosciuti erano Hutu, la stessa popolazione che stiamo andando ad assistere.
Poco più avanti finisce la pista carrabile e comincia un sentiero fra i banani, è abbastanza impervio e si può percorrere solo a piedi, tutt’intorno c’è un mercato improvvisato ma molto affollato, è sorprendente come mai, dopo il “deserto”, si vede così tanta gente.
In macchina si può arrivare sin qui, scendiamo circondati da tanta folla che ci saluta e ci dà la mano, la ressa attorno a noi è tanta che a stento riusciamo a muoverci e a scaricare il grosso scatolo con il latte in polvere e le magliette, le due casse con le zappe e lo zaino con il necessario da S. Messa, ci tolgono le cose dalle mani ed alcuni di loro s’improvvisano portatori, mettendo tutto sulla testa, la marcia ha inizio, le case del posto sono quasi tutte abitate, qualcuna è distrutta e presenta chiari i segni delle recenti rappresaglie, ma tante altre case sono in costruzione, tutto il terreno circostante è affollatissimo come un termitaio, siamo nel bel mezzo dei “DISPERSES”, fuggono, si nascondono di continuo e la notte dormono fuori per paura dei soldati; sin da quando siamo fra loro noto che qualcuno è di guardia con molta discrezione, ma con il machete in mano, questa è la resistenza Hutu.
Il viottolo che s’inerpica, spesso ripidissimo e polveroso, sulle colline attorno a Bujumbura, è coperto da una folta vegetazione: banani soprattutto, ma anche piante da caffè (a queste altitudini cresce la varietà “rustica”) e di manioca.
C’è un via vai impressionante di gente, sembrano formiche, è giorno di mercato, ma c’è anche tanta gente che è lì per noi (ci saranno anche tantissimi battesimi), dopo circa un’ora di marcia, quasi tutta in salita, preceduti e seguiti da una grande folla, arriviamo davanti ad una casa con il recinto, c’è uno spiazzo a mezza costa interamente coperto da grandi alberi e circondato da verdissimi banani.
C’è già tanta gente che ci aspetta festante, tanta dimostrazione di affetto ci ripaga subito della fatica sopportata e dei pericoli che abbiamo corso per arrivare fin qui; siamo in località Bushaka dove ci sarà la prima S. Messa.
La chiesa ha per tetto il cielo e per pareti la vegetazione circostante, è lì, all’aperto che s’improvvisa la cerimonia, visto che la “succursale” della missione non può essere utilizzata per ragioni di sicurezza, perché il divieto dei soldati Tutsi di riunirsi anche per le funzioni religiose fa correre alla povera gente il rischio di una cruenta rappresaglia.
La cerimonia assume uno spontaneo tono di solennità, io scatto parecchie foto e faccio qualche ripresa, durante la messa vengono battezzati più di venti bambini, la partecipazione corale della gente è straordinaria e commovente, i canti spontanei sono caratterizzati da un’armonia sublime.
Alla fine della cerimonia una moltitudine di gente fa ressa attorno al Padre, alla Suora ed a me, ci prendono le mani, con affetto e devozione, ci salutano con tanta gratitudine ed entusiasmo da farci a stento trattenere le lacrime.
Ci avviamo rapidamente verso Kababaza, ad un’altra ora abbondante di marcia fra i dossi impervi delle colline, il Padre va avanti, io e la Suora procediamo più lentamente, lungo il sentiero s’incontrano spesso resti di piantagioni e di case bruciate, bruciato anche il mercato, su un banano “superstite” c’è attaccato un foglio, è il divieto, ordinato dai militari Tutzi di fare il mercato in quel posto, intorno e più avanti parecchie sono le tracce d’incendio ed i racconti di atroci rappresaglie.
Quando io e la suora arriviamo in località Kababaza, la S. Messa è già cominciata, siamo a una quota più alta e l’ambiente  naturale è leggermente diverso.
Anche qui l’altare è improvvisato: un tavolo di legno grezzo con i piedi rialzati da mattoni crudi, ma la solita tovaglia bianca che P. Modesto porta nello zaino, riesce a dare un certo tocco di solennità.
Visto che non ci sono alberi alti ed il sole picchia, hanno costruito una sorta di tettoia coperta da larghe foglie di banani rinsecchiti, la gente sempre numerosissima, cerca di ripararsi dal sole cocente assiepandosi all’ombra dei “ciuffi” di banani, molti si riparano con variopinti ombrelli.
La cerimonia assume toni di commovente solennità, anche qui alcune decine di battesimi, alla fine alcuni bimbi assetati bevono persino l’acqua battesimale contenuta nella vecchia bacinella un po’ arrugginita che, dopo essere servita da “Fonte Battesimale”, è posta a terra ai piedi dell’altare.
Nei due grossi campi improvvisati (i disperses sono costretti per sopravvivere a continui spostamenti) si notano numerosi casi di scabbia, la suora mi fa notare che non c’è solo la scabbia, purtroppo.
Al ritorno il sole picchia forte (è già mezzogiorno), per fortuna ora la strada è quasi tutta in discesa, io e la suora precediamo il P. Modesto che s’intrattiene per registrare i battesimi assieme ai catechisti, e che è, in ogni caso, più veloce di noi (P. Modesto Tedeschi è originario di Sover Trento e nonostante non sia più giovanissimo conserva il passo lungo degli alpini).
Arrivati, quasi alle due, sul posto dove abbiamo lasciato la macchina, io e la suora ci sediamo all’ombra su due grosse pietre, si sentono tuonare delle cannonate in lontananza.
Mentre aspettiamo che arrivi il Padre per andare via, vicino a noi viene a sedersi una donna anziana, quasi tutta sdentata, porta legato sulla schiena, secondo l’uso locale, un bimbo piccolissimo dai grandi occhi neri bellissimi, il bimbo comincia a piangere, la vecchietta lo “scioglie” e lo pulisce amorevolmente, il piccolo, visto nudo, appare magro in maniera impressionante.
Arrivato P. Modesto, la donna gli va incontro e gli dice qualcosa in lingua locale, il Padre le dà subito gli ultimi due sacchetti di latte in polvere che, lassù, in cima aveva prelevato dallo scatolone e conservato a parte nello zaino con le “cose” da Messa, come per un presentimento.
Il piccolo è un trovatello che la vecchietta ha trovato, dopo una rappresaglia, abbandonato al bordo del sentiero e che ha “adottato”, ma lei non ha più latte e non riesce a nutrirlo bene, per fortuna ha pensato di venir giù dalla sua collina a chiedere aiuto, d’ora in poi, due volte alla settimana a portare il latte per il piccolo penserà il buon P. Modesto.
Saliti in macchina, è rovente, ma la stanchezza è così forte che non ci fa sentire tanto il caldo; la strada al nostro ritorno è deserta, per fortuna non succede niente (verso le 12 i soldati mangiano ed a quest’ora saranno fradici di birra), parlando in macchina scopro che la suora mi ha fatto sempre sedere sul sedile posteriore per farmi scudo ad eventuali colpi e consentirmi di sdraiarmi sul sedile in caso di attacco, è commovente, ma ci resto male.
Alla missione mangio e bevo con appetito (sono le tre passate), poi faccio una doccia e riposo un po’; nel pomeriggio ho le caviglie dolenti, mentre siamo seduti, ancora stanchi all’ombra degli alberi nel cortile della missione, arriva la notizia che un altro prete è stato assassinato (era un Hutu) i padri e le suore lo conoscevano bene, hanno tutti le lacrime agli occhi e sono visibilmente indignati, ma pur correndo sempre tutti lo stesso rischio, restano sorprendentemente sereni, io, invece, sono un po’ stravolto.
Nel tardo pomeriggio arrivano alla missione parecchie persone, sono quasi tutti italiani, è l’ora della S. Messa in italiano.

Dopo cena ascoltiamo la locale TV, oggi in Burundi è festa nazionale, la persona che appare solenne sullo schermo è un Hutu, parla un francese perfetto e dà delle giustificazioni allucinanti delle uccisioni e delle rappresaglie, arriva al paragone con la bomba di Hiroscima e con la ex Jugoslavia, capisco da quel discorso, che ha la pretesa di essere solenne, perché chiamano la TV locale con il nome di “Telemensogna”, finita la incredibile trasmissione, finalmente, vado a letto.

 

  • Orazio

 

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