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SIGNORA AVA di Francesco Jovine

 

La recente riedizione di “Signora Ava”, romanzo storico di Francesco Jovine, proposta da Carmine Donzelli di Roma, con prefazione di Goffredo Fofi, postazione e cura di chi scrive, deve ritenersi un evento significativo all’interno dei 150 anni dall’Unità d’Italia. Il romanzo si svolge negli anni strettamente a ridosso dell’Unità a Guardialfiera, in Molise, paese natale dello scrittore, e concentra il proprio focus sociologico su una famiglia di notabili, i de Risio. Essi esercitano un indiscusso potere economico sui contadini e sul circostante contesto sociale attestandosi come la categoria esemplare di quei galantuomini che hanno regolato il battito della società meridionale. Essi sono gelosi custodi della loro atavica condizione di proprietari terrieri, che esercitano prestando grano ai contadini per riaverlo poi accresciuto di quantità e, quindi, di valore.

 

La famiglia de Risio è, comunque, variegata e accoglie nel suo grembo alto borghese, oltre il diretto gestore di queste proprietà agricole, un colonnello napoleonico, che conduce una scuola in paese, frequentata da rampolli di famiglie altolocate del territorio circostante; un medico, o pseudo tale, che esercita la professione, più che per vocazione, per continuità di una tradizione, capace di garantire autorità e rispetto. E poi c’è Antonietta, la bella figlia di famiglia che viene mandata a Termoli, sul mare, per studiare presso un collegio di suore. E poi c’è Pietro, servo e scudiero di casa de Risio, con il quale Antonietta intratterrà uno spontaneo rapporto d’amore, contravvenendo ad ogni regola sociale, che impediva il contatto tra servi e padroni.

E su tutti campeggia Don Matteo Tritone, prete di paese ma soprattutto di casa de Risio, sulla quale si appoggia per il suo quotidiano sostentamento, non percependo, a differenza degli altri dieci preti del paese, alcun vitalizio. Questa è la situazione descritta nella prima parte del romanzo, che precipita nella seconda, sotto la spinta dei frenetici avvenimenti che segneranno l’avanzata di Garibaldi e il progressivo inserimento della Guardia nazionale nel contesto territoriale per garantire il passaggio dalla monarchia borbonica, sconfitta a Gaeta con il suo ultimo Re, a quella sabauda, trionfante nella definitiva conquista dell’intera penisola.

Come decisivo momento di attrito nel trapasso da un Re a un altro si innesta, infatti, il sanguinario fenomeno del brigantaggio, che coinvolgerà in prima linea gli stessi Pietro e Antonietta, mentre la famiglia de Risio passerà con condivisa naturalezza da una monarchia all’altra.

Essa non ha nulla da perdere nella conservazione dei propri privilegi, mentre drammatica, incerta resta la condizione dei contadini, che assistono impotenti e confusi a una trasformazione epocale, che inciderà profondamente sul loro futuro, come la piaga dell’emigrazione tra breve dimostrerà.

Pietro sarà un brigante per caso, nel senso che sarà costretto a diventarlo per sfuggire a un vile trabocchetto del suo padrone, che lo avrebbe altrimenti consegnato alla Guardia nazionale, per riceverne in cambio complicità e protezione.

Don Matteo si convertirà, alla fine, alla forte e fragile causa dei più deboli e diseredati.

Jovine ha così modo di stendere la tela storica del suo profondo impegno meridionalista indagando le contraddizioni e lacerazioni della sua società molisana e affondando il bisturi nella esemplarità e gravità di una situazione storica, destinata a far sentire i suoi sbilanciati contraccolpi. Un sistema storico, insomma, si abbatterà sulle genti meridionali, le quali dovranno assistere a un genocidio e a un futuri esodo di proporzioni  bibliche. E saranno, ancora una volta, le classi meno abbienti a pagare un eroico tributo di sangue, di fatica e di dolore. “Signora Ava”, alla luce di quanto si è accennato e si è ritenuto opportuno approfondire altrove, merita allora una più giusta collocazione critica nel panorama, alquanto controverso, dei 150 anni dell’Unità d’Italia, mostrando uno spessore narrativo e storico di indubbio valore artistico e documentario.

Esso si attesta, con fiera autonomia e sicurezza, sulla linea dei romanzi risorgimentali, che la storia d’Italia dovrebbe meglio riconoscere, se è vero che gli scrittori sono stati e sono i veri profeti del mondo, purtroppo misconosciuti, se non del tutto, come nel caso di Jovine, sconosciuti. Ma come si può scrivere la storia di una nazione, trascurando quei testimoni autorevoli, che per primi l’hanno, con caratteri indelebili, scandita e immaginata, sollevando problemi reali, che sono stati puntualmente disattesi o accantonati?

Come si può parlare di cultura, quando questa non riesce ad innervarsi nelle pieghe di una società confusa e malata, che forse, grazie ad essa, potrebbe ancora salvarsi?

Sono domande destinate, ancora una volta, a rimanere senza una adeguata risposta, sopraffatte dal disinteresse consumistico ed egoistico, dalla barbarie vandalica e omicida di un tempo, che sta sfidando fino all’estremo se stesso, mettendo in serie repentaglio quanto intere generazioni, “risorgimentali”, di tutti i tempi si erano impegnate ad edificare e consolidare.

La letteratura ha sempre svolto un ruolo determinante in questo processo, che non sempre però le è stato riconosciuto. Che questa data, importante nella storia del nostro paese, ci aiuti a capire e ad amare meglio la nostra storia, che gli scrittori hanno ravvisato e provato a raccontare con i segni della realtà e della fantasia, della bellezza e del dolore.

Francesco D’Episcopo

scrittore

 

Tratto dall’Annuale di Cultura e Informazioni anno 2011:

METEORA, inserto pag. XXIX – XXX, redatto a cura di:

Francesco D’Episcopo

Immagine:morguefile

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